Carte, estratti, a cura di Francesco Forlani
«Vieni subito.»
È scattata la catena telefonica e mi sono trovata in taxi, tra Ico e File. Nella corsa all’ospedale temevo una rottura delle acque a ogni fitta, con Ico che calcolava l’intervallo fra una contrazione e l’altra.
Alba mi ha smontata.
«Hai voglia! Questo è lento. L’unica è camminare e bere. L’alcool aumenta la pressione sanguigna e accelera le contrazioni.»
In un lampo Ico è andato e tornato con una bottiglia. Abbiamo dato il via ai brindisi. Per non disturbare ci siamo trasferiti nel salottino dell’atrio. Dal finestrone s’affacciava il tramonto invernale. Le prime luci perforavano la nebbia.
«L’anima ha bisogno di canzoni.»
Intanto gravide e parenti ci ronzavano attorno, chi per guadagnare una poltrona, chi per controllare la prospettiva dal finestrone.
«Non vorrei ci scambiassero per avvinazzati» mi sussurrava.
Assaporare il secondo giro fa salire l’allegria di un gradino. Ma poi “s’ode a destra uno squillo di tromba / a sinistra risponde uno squillo”. Via via tutti si disperdono, a smistare telefonate a raffica. E noi su e giù per il corridoio, come passeggiando in montagna.
«Se cammini, esce prima» ripeteva Alba.
Poi il dolore delle contrazioni e il mal di pancia del clistere. In quei momenti c’è solo il presente, non vedi un’ora di futuro. Tutto ti ferisce: una mano fredda, un muro scrostato, una macchia sulla porta.
«Le urla sottraggono forza» diceva. «Urlare è delegare, è gettare la spugna. Non ti concentri.»
Allora spingere. Sincronizzare il respiro con la spinta del bambino.
Quando lui spinge, espirare.
«Vuoi che esca o vuoi soffocarlo?»
Io non connettevo.
«Non ci riuscirò mai.»
«Non dire stronzate. Qui siete tutte uguali. Escono tutti dallo stesso buco e finiscono tutti sotto la stessa terra.»
E giù una sberla.
«Se non collabori, ti infilano una flebo e ciò che non fai tu, lo fa il farmaco.»
Poi non mi ha detto più niente, vuol dire che ho fatto giusto. File mi stringeva la mano.
Ed ecco che esce, ecco la testa. Paura di strozzarlo, quando la testa è a mezzo.
«Sciocchezze! Dopo la testa, il resto scivola liscio.»
«Ha tutto?»
«Sì, le palle le ha.»
Appena è nato, si ripresenta il tempo. Il futuro. Vedi il bambino già grande, già in piedi. Poi ritorni alla terra, al quotidiano. Devi espellere i coaguli, lavare te, il bambino. La temperatura la regolano loro, altrimenti chissà cosa avrei combinato.
«Qui la legge sono io e si fa quello che dico io» s’è messo a urlare.
Ha visto uno sulla sua poltrona e l’ha assalito.
«Alzati! Quella è la poltrona del capo. Se vuoi fare il capo, non hai che da dirlo e ti cedo il posto, vedrai che guadagno. Il capo non ha la fortuna del dipendente, che finito l’orario va a casa e manda il cervello in vacanza. Il capo ha solo grane.»
«È vero, nonno, che qui tu sei il capo di tutti?»
Il Presidente si squaglia.
«Sì, certo» risponde. È proprio vero che tutti hanno le loro debolezze.
«Allora posso salire su questa sedia e sporcarla?» fa il bambino.
E il popolo a lodarne l’intelligenza.
«Dobbiamo conquistare il centro» dice.
Propone di trasferire la sede in una zona meno periferica, ne ha adocchiata una in un’area dismessa di via Salomone. A Teresa suona strano. Non andrebbe mai in uno spazio pubblico, perché, se ci fossero da fare migliorie, non caccerebbe di tasca una lira. Sì, invece, coi soldi dell’ente pubblico, ristrutturare spazi della curia, così il benfatto va a maggior gloria di Dio. Una volontaria abbocca e gli chiede:
«Come mai proprio lì?»
È la domanda che il Presidente si aspettava.
«Possibile che non capiate? Perché lì c’è il forno incenerimento rifiuti. Abbiamo gli stranieri, avremo il forno crematorio – che vogliamo di più?»
E tutti a ridere.
«Come fanno a venirti certe idee?» gli domandano.
Il Presidente ha pronto un ragionamento politico per nobilitare la battuta.
«Siamo o non siamo quelli che fanno soldi con gli sfigati?» dice.
Prima andavano forte i tossici, adesso non più. Idem per i malati di Aids – a che scopo costruire case per loro? Anche gli stranieri ormai non tirano, li bruceranno tutti. Bisogna pensare alla nuova frontiera del volontariato: i ragazzi di strada, gli anziani, le donne maltrattate.
«Se uno, come noi, pensa di aver incontrato la verità, non può viverla quando è coi suoi e accantonarla quando è con gli altri. Mostrare la sua gioia in certi momenti, nasconderla in altri.»
“Quale gioia, vorrei sapere, quale?” pensa Teresa.
“O forse è ancora peggio, pregano come prima e fanno finta di niente.”
Lei ha pronta la risposta solita:
«La fede cos’è, il dopolavoro? Se uno crede in Dio, gli deve bastare.»
E Teresa:
«Volete essere voi stessi dappertutto. E gli altri? Voi sul carro armato. E gli altri, li fate fuori tutti?»
«Con te è impossibile dialogare» fa Martina.
«Se non ci riesci con me, che sono totalmente disponibile, non ci riesci con nessuno.»
Martina non ci ha visto più.
«Per un’ora almeno lasciami con le mie carte.»
Teresa stava andando nel suo ufficio. Si è girata e le ha detto:
«Tu puoi dialogare solo con le tue carte – e il tragico è che ne sei contenta. Il bene ti serve solo per i tuoi inventari.»
Martina si è alzata in piedi, tutta rossa, non sapeva cosa fare. Teresa è diventata calma calma.
«Prima che me lo dica tu, lo decido io. Me ne vado e qui non ci metto più piede.»
«Ci avessi pensato, forse avrei subìto» dice Teresa. «Tu sai già tutto, ti dai tutte le risposte, e rimani frustrato comunque. A che serve? Io rimango frustrata, ma un po’ ci rimangono anche gli altri. Non mi serve che si minimizzi, lo fanno in tanti. “Non è niente” dicono, e pensano di aiutarti. Solo se non si minimizza sento che mi si capisce. Quante volte, viola dalla rabbia, sono andata da Martina a chiederle qualcosa e sono tornata perdente. Una bambina davanti alla maestra.»