Bernardini. La difficile arte della leggerezza, di Gerardo Trisolino
Giovanni Bernardini ha scritto un romanzo bellissimo, I bruchi ovvero Il ragazzo in fondo al mare. Dietro la dimenzione favolosa e affabulante delle vicende si scorge in filigrana una esilarante satira del fascismo visto con gli occhi di un ingenuo perdente.
L’io narrante si chiama Anselmo: mai però un “nomen” è stato così poco “omen”. Quel nome (che letteralmente significa “Elmo di Dio”) era stato scelto dal padre unicamente perché ricorre il 21 aprile, data scelta dal regime per festeggiare il Natale dell’Urbe. L’illuso genitore sperava che coincidenza di un onomastico con una data così solenne potesse propiziare al figlio un radioso futuro. In realtà, il lettore si trova di fronte a uno scanzonato inetto che colleziona una disavventura dietro l’altra. Esattamente il contrario di ciò che accade invece al suo alter ego, l’inseparabile amico Peppe, figlio di un generale, che è il vero eroe vincente.
Dopo tanti libri di narrativa e di poesia che lo collocano tra i classici della letteratura salentina del secondo Novecento (anche se nato a Pescara, nel ’23), Giovanni Bernardini ha dunque intrapreso la strada del realismo magico, già iniziata con alcuni racconti precedenti.
Narratore e poeta maturo, di solida formazione classica e di grande sensibilità moderna, Bernardini ha via via dimostrato di conoscere bene i segreti dell’arte della scrittura tanto da consegnarci opere che a pieno titolo impreziosiscono la nostra letteratura.
Partito quarant’anni fa con il genere del reportage neorealistico impegnato sul fronte sociale e civile, sulla scorta di Carlo Levi, di Rocco Scotellaro, di Danilo Dolci, di Leonardo Sciascia, di Tommaso Fiore e di pochi altri, è poi felicemente approdato alla poesia, affidata alle edizioni Manni e Lacaita, in cui ha saputo coniugare classicismo e modernità fino alla cronaca della sua vicenda esistenziale più recente e alla sua breve ma ispirata esperienza politica, che lo ha visto sindaco di Monteroni di Lecce tra il ’92 e il ’ 93.
Chi non ricorda Provincia difficile (1969) e Compare brigante (1973), pubblicati da Adda, con le rispettive prefazioni di Michele Tondo e Mario Sansone? In fondo, a Bernardini ha molto giovato anche il lungo insegnamento nel più prestigioso liceo classico leccese, che gli ha consentito di vivere a contatto con più generazioni di studenti e di calibrare spesso la sua prosa anche in direzione di un suo uso didattico: pensiamo, per esempio, ai racconti di Prove narrative, trasformati nell’edizione scolastica di Quest’inverno ti racconterò.
Non escluderemmo da questo orizzonte neppure quest’ultimo godibilissimo romanzo, una sorta di favola per adulti, piena di umori e passioni civili, che però lo scrittore ha accortamente camuffato, scegliendo un registro basso inzuppato in uno humour intelligente e scoppiettante, che la rendono un’opera piacevolissima e amena. Tra le sequenze più memorabili del libro ricordiamo le imprese boccaccesche dell’amico Peppe con la vogliosa e avvenente pastora Florina.
La nota dominante di questo originalissimo romanzo è la reticenza. Lo scrittore si diverte a non darci nessuna coordinata, né di luogo né di tempo. Mai una città viene citata, mai un nome viene fatto, mai una data viene evidenziata. Tutto si svolge entro i confini elastici della fantasia. Mussolini è “il capo del governo di allora”, la seconda guerra mondiale (di cui Anselmo è a malapena un’insignificante comparsa, nonostante i suoi eroici furori bellici) è “la guerra successiva a quella precedente”, la città in cui il protagonista inizia a frequentare l’università e in cui si svolge la sua iniziazione al fascismo e alla guerra è “la bella città dei padreterni”, i nemici di oggi sono i Pelleverdi così come di ieri erano Pellerossa.
I personaggi scelti da Bernardini sono tutti lunatici e strampalati, a partire da quelli del nucleo familiare di Anselmo. Il più simpatico di tutti è sicuramente lo “zio un po’ scemo” (anche lui condannato all’anonimia), un personaggio felliniano a metà tra il matto e il sognatore. È sua l’idea del ragazzo in fondo al mare, che esprimerebbe il bisogno di evadere nella dimensione fantastica, che come un talismano ci aiuti a dare un senso alla vita di ogni giorno.