Le istantanee degli occhi, di Matteo Zola
La poesia di Giovanni Catelli, lirico della prosa prestato al verso, trova nella raccolta d’esordio, Treni (Manni, 2008), un originale punto di partenza. E davvero partenza è la parola giusta: albe bianche alle stazioni, andate e ritorni febbrili, distanze che lo sguardo non copre, la poesia di Catelli è perennemente in moto. Il carattere unitario della raccolta è dovuto anzitutto a quest’ansia di movimento che attraversa i brevi componimenti legandoli in una continuità di punti di partenza che si susseguono senza meta finale. Ogni poesia rappresenta in un certo senso una tappa del viaggio, una stazione passata senza il dolore dell’approdo ultimo. La morte, di cui la sosta è simbolo per riduzione, viene continuamente elusa dalla ripartenza e l’animo del poeta, insonne, non si quieta nella stasi poiché ad andare è il tempo e il poeta con lui in una corsa talvolta consapevolemente disperata che «muove alla fatica un passo vuoto». Sequenze di pensieri e impressioni veloci si susseguono senza che i componimenti si vogliano agglutinare intorno ad un solo nucleo semantico. Non deve questo apparire come un limite anzi, al contrario, è il carattere peculiare della raccolta: nella rapida successione di versi autonomi il poeta sviluppa le istantanee degli occhi scattate dal finestrino di un treno in corsa e ci mostra il groviglio delle impressioni affastellate l’una sull’altra, ma senza ingombro trasposte sulla carta con leggera velocità. La parola rappresenta la sola possibilità di fermare l’impressione: «la parola ti serve a pronunciare l’oblio» e davvero Catelli produce con le parole immagini di grande bellezza, fotogrammi del tempo fermato nel suo divenire: «vaga nei sobborghi la statua del futuro». Il tempo come un fantasma si aggira nei luoghi, li muta e con essi trasforma anche il poeta, c’è infatti una dimensione intima del tempo: «convoco gli ostaggi duraturi degli specchi» connotata da una sottile sofferenza: «si va in un sudario di pioggia / per lievi barbagli di luce / acquari di treni sommersi / convogli di nubi». Ma un’altra partenza allontanerà questi fantasmi personali poiché «le mie lucentezze rinascono al soffio dei treni» e ancora dai treni il poeta potrà nuovamente immergersi nel fluire delle immagini, nelle lontananze del tempo che viene e del tempo avvenuto, senza che sia una fuga: «Già come binari / morti / nell’asfalto / serpeggiano lucenti / nella pioggia / ma non fuggono». E in tutto questo andare senza approdo ultimo rimane irriducibile il sentimento del tempo: «lascio un adunarsi d’ombre nei bagagli» che sugli altri domina l’animo di un poeta sensibile, visivo, capace di produrre originalissime immagini, con la voce forse ancora da farsi ma già con un timbro vibrante e personale.