Giuseppe Cassieri, Poetica di un infelice

21-10-2008
Il sorriso abbonda sulla bocca del precario, di Giacomo Annibaldis
  
Adepto della filosofia di Bergson, il quale sostenne che «fino a quando esisterà un uomo, esisterà qualcuno che ride, che sorride, che irride», Giuseppe Cassieri continua a inscenare romanzi dove facezia e lepidezza intersecano l’allegra indignazione o la scherzosa denuncia delle ossessioni moderne. È anche il caso ultimo di Poetica di un infelice, racconto di «mescidato» linguaggio e di ricerca d’un risus inedito – come aveva lo scrittore auspicato nella sua prefazione al volume Giocosi umoristi e satirici, antologia per i «Cento libri per Mille anni», edito nel 1988 – che introduce l’ultima bizzarria in caso di fenomeni sociali e letterari: la petizione telematica, tramite digitazione e interconnessione.
Che siamo nel mondo delle arguzie è già suggerito da un indizio: l’io narrante, Ezio Castellani, è direttore della biblioteca «Poggio Bracciolini», dedicata cioè al celebre umanista autore del Libro delle facezie, che raccoglie novellette, motti e barzellette del XV secolo. Il protagonista, l’infelice di cui si narra la «poetica» (da assumere nell’accezione stretta di «cose fatte»), è invece Saverio Lamanna, uno psicotico calabrese che si autodefinisce «formica ipocondriaca», un precario della scuola, pronto a confidare le sue disavventure familiari e che ha la stravagante missione di ripristinare con la vernice rossa le lettere sbiadite delle lapidi e dei cippi monumentali. Un «restauratore vagante», che va anche correggendo le indicazioni stradali, sì da mutare un «vicolo cieco» in un più politicamente corretto «vicolo non vedente». Insomma – come direbbe Flaiano – un uomo «con i piedi fortemente poggiati sulle nuvole».
L’incontro tra i due avviene appunto mentre Saverio «rubrica» le lettere sbiadite dell’Infinito di Leopardi su un cippo nel parco dell’Aniene.
Seguendo l’attività suppletiva del precario che arrotonda scrivendo a pagamento tesine per avventizi laureandi, il bibliotecario-narratore potrà immergersi – e crogiolarsi – nel mondo del ludico, che ha sempre affascinato Cassieri (e naturalmente il suo lettore). Una delle ricerche commissionategli (delle quali mette sempre al corrente il bibliotecario) concerne difatti il riso e la derisione nella società medievale, con citazioni da san Bernardo, pronto ad accomunare l’uomo che ride a una vescica troppo gonfia e scossa da scorregge, o da santa Ildegarda di Bringen, secondo cui l’uomo che ride è un fallo che eiacula a più riprese. Gesù stesso può apparire – se osservato in controluce – ludico capocomico di tanti martiri e santi che irridono i loro torturatori.
Un’altra tesina a pagamento che scatenerà una frizzante diatriba tra i due è quella sulla donna e la bellezza nel terzo millennio; e che partendo dalle adipose Grazie ritratte da Rubens giungerà a sostenere che la bellezza femminile odierna si è armonizzata stupendamente nel sedere delle donne «principe incontrastabile dell’incanto».
Ce n’è abbastanza per comprendere in quali sorridenti giochi dell’intelletto Cassieri voglia condurre il suo lettore. Non senza tuttavia dribblare l’infelicità del suo protagonista, colpito dal mal caduco, e soggetto ad «umori antagonisti», nel tentativo non sempre riuscito di tenere «a bada la depressione che corteggia l’epilettico». Anche di fronte al tema che volge al pietoso, lo scrittore – tramite il suo protagonista «non allenato alle armonie» – riesce a fraternamente ghignare delle frustrazioni e delle paure. Specie quando cerca di investigare dal buco della serratura l’intimità sessuale dell’epilettico Saverio. Che si dichiara «non padrone fino in fondo della libido, nel covo degli istinti parrebbe un cane sciolto che si morde e non morde»; e se una donna lo attira, in lui «interviene un impulso ancora più coercitivo: l’incubo dell’inadeguatezza. La passione viene gelata dalla compassione».
Lepidezza: così Saverio «bollava i suoi pensieri accidentali». E tale sarà anche la cosmicomica proposta di Ezio di far avere all’indigente Saverio La manna, poeta schivo e nolente, la legge Bacchelli. Vitalizio che ovviamente non può essere assegnato se non a chi può vantare una certa «visibilità». Obiettivo raggiungibile oggi – e qui si sprigiona un sorriso a chiocciol@ – con una petizione tramite internet. Frustrata dal fato, che sbocca in un’emorragia cerebrale e che senza preavvisi, senza un lamento, si porta via Saverio La manna, «invisibile nella sua tormentata coerenza».
C’è stato nel vasto carniere dello scrittore pugliese (nato a Rodi Garganico nel 1926), un Homo felix, un erto Gaudioso che torna nel suo paesino abruzzese di Schiavi. Era il 2002. Ora c’è Saverio l’«infelice». Nel primo Cassieri aveva espresso il suo estro giocoso, sferzando le inquietudini e le manie dei nostri giorni. Nel secondo, quelle stesse inquietudini vengono avvolte da un più benevolo sorriso, quasi crepuscolare. Ma senza perdere il dono dell’arguzia. Sul palato resta un sottile piacere mentale.