Giuseppe Cassieri, Poetica di un infelice

31-10-2008
Cassieri, il piacere sottile dell’arguzia, di Giacomo Annibaldis
 
Ci ha lasciato un testamento Giuseppe Cassieri, prima di accomiatarsi, senza troppi rumori, offrendoci in ideale eredità l’ultimo graffiante sorriso. Quel sulfureo ammiccamento, carico di ironia e di arguzia, propugnato con indefessa fiducia nella sua attività scrittoria lunga sessant’anni. È il romanzo Poetica di un infelice, apparso pochi giorni fa per la pugliese Manni (per i cui tipi ha pubblicato i suoi ultimi volumi, non senza ironizzare sulle grandi case editrici dimentiche degli autori di consistenza e tutte protese alla scoperta del libro di mercato).
Poetica di un infelice è un romanzo il cui protagonista si dichiarava «non allenato alle armonie», e che l’autore definisce, sulla scia di Flaiano, un uomo «con i piedi fortemente poggiati sulle nuvole»: come d’altronde ha voluto essere lo stesso Cassieri. Un romanzo in cui lo scrittore pugliese ribadiva la sua adesione alla filosofia di Bergson, secondo il quale «fino a quando esisterà un uomo, esisterà qualcuno che ride, che sorride, che irride».
Anche in questo suo ultimo romanzo Cassieri, con «mescidato» linguaggio – come gli piaceva dire –, tramava la facezia e la lepidezza con l’allegra indignazione o la scherzosa denuncia delle ossessioni moderne. Perché pochi autori italiani hanno osservato e pedinato il proprio tempo come ha fatto lui; quasi avesse assunto come compito di scrittore il dover aderire all’attualità, ricercando tra le sue pieghe il volto paradossale e umoristico di un’Italia pronta sempre a saltare sul carro delle mode e delle ideologie con esito goffo e grottesco.
Questa è la cifra che ha connotato la innumerevole produzione di Cassieri nel panorama italiano del secondo Novecento. La sua vena nasceva da un acuto sguardo critico verso la società, capace spesso di coniugarsi con una solenne indignazione. Che il tema fossero le manie letterarie, o quelle – ricorrenti – della fine del mondo o della sessualità, che il tema fosse l’emergenza ambientale o l’irrisione dei riti religiosi e delle sette, ovvero l’attuale condizione politica italiana, che fossero le «magnifiche sorti e progressive» della tecnologia…, tutto prendeva sotto la sua penna il garbo dell’ironia e dell’umorismo. Un senso critico non alieno dalle redici garganiche, già evidenti nei suoi romanzi d’esordio, tra memoria e realtà meridionale in cerca di riscatto. […]
Come autore, Cassieri s’impegnò in trasposizioni e sceneggiature televisive, e si lasciò attrarre dal teatro, mai rinunciando a un linguaggio dai risultati naturalmente comici. Quando la Puglia non aveva cantori – un tempo durato secoli e interrotto solo negli ultimi anni –, quando la nostra regione non vantava nessuna visibilità letteraria, solo Cassieri ne rappresentò, oltre il Garigliano, il volto e il linguaggio. Mai Giuseppe Cassieri volle tagliare il cordone ombelicale con la sua terra. Spesso qui si isolava, per trarne ispirazione o portare a termine un lavoro. E continuò a scrivere per “La Gazzetta del Mezzogiorno” – collaborazione iniziata negli anni ’60 – con articoli mascherati da recensione ma che, pur marginali, riuscivano a consolare l’intelletto (e certo ne sentiremo la mancanza).
Tutto per non dissipare inquietudini ed ossessioni del nostro tempo. Raccontate con tono sferzante da uno spirito irrequieto e appartato e – da ultimo – avvolte da un più benevolo sorriso, quasi crepuscolare. Ma senza perdere mai il dono dell’arguzia.
E lasciando sempre sul palato del lettore un sottile piacere mentale.