La felice costrizione ovvero Calvino e l’Oulipo, di Carla Marello
Nel 1972 Italo Calvino entra nell’Oulipo (Ouvroir de Littérature potentielle), fondato 12 anni prima a Parigi da Raymond Queneau e da matematici letterati. Dall’Oulipo ricava certe modalità di sperimentazione e di gioco linguistico che inserisce nelle sue opere. In particolare è affascinato dall’affinità con Queneau stesso, come ribadirà in più luoghi esplicitamente e attraverso citazioni e altre forme di nobile imitazione e re-invenzione delle opere del francese.
Raffaele Aragona, l’ ingegnere che ha fondato l’italiano Oplepo (Opificio di Letteratura potenziale, nome prefigurato da Calvino stesso) nel 1990, dopo varie altre opere di diffusione e pratica della letteratura potenziale, ha deciso di dare il giusto rilievo alle influenze dell’esperienza oulipiana nella scrittura di Calvino. Ha perciò curato un libro dal titolo Italo Calvino. Percorsi potenziali, appenapubblicato da Manni, editore di San Cesario di Lecce.
Vi ha raccolto sedici saggi, in parte inediti, in parte già pubblicati in varie sedi italiane e straniere, che offrono un quadro illuminante del “calvinismo” di Calvino, del suo darsi delle regole, del suo fare “una letteratura che nasca dalle costrizioni che essa sceglie e s’impone”, per dirlo con le parole adoperate dallo scrittore nell’introduzione ad un’opera di Queneau e scelte da Aragona come citazione d’inizio del libro.
Il volume ribadisce attraverso un coro di voci di italianisti francesi come Marcel Bénabou e Jacqueline Risset e spagnoli come María Calvo Montoro, oltre che di critici letterari italiani, la fecondità della costrizione per uscire dal banale delle belle storie basate sull’eterno triangolo del rapporto fra moglie, marito e amante e sui giochi della memoria che imperversano nella narrativa italiana.
Fra gli articoli riediti più interessanti vi è quello di Brunella Eruli intitolato “La traduzione come furto con scasso”. Eruli riprende gli scritti di Calvino stesso sui procedimenti seguiti nel tradurre Les Fleurs bleus di Queneau. Calvino parla della traduzione come del sistema più assoluto di lettura: “C’è un furto con scasso in ogni vera lettura. C’è questa cosa lì, chiusa, questo oggetto da cui si carpisce qualcosa che c’è chiuso dentro”. Eruli ha il merito di mettere in luce anche le profonde differenze fra Calvino e Queneau, rivelate come una cartina di tornasole dalle scelte “perbeniste” nel tradurre argot, parolacce e allusioni erotiche. Queneau viene fuori nell’italiano di Calvino più classico e meno provocatorio.
Calvino aveva il terrore di cadere nel colorismo dialettale, non apprezzava in Queneau lo sperimentalismo espressivo giocato sulle espressioni a carattere popolare o volgare. Preferiva l’aspetto matematico e scientifico della cultura dell’autore francese, perché la sentiva affine ai propri interessi. Nel saggio del matematico Piergiorgio Odifreddi “Se una notte d’inverno un calcolatore”, già apparso in un libro a cura di Aragona e rielaborazione di un precedente intervento su “Calvino e le scienze” tenuto a Parigi nel 1999, si parte proprio dall’ammirazione per Galileo, definito da Calvino il più grande scrittore italiano di tutti i tempi, per illustrare come Calvino procedesse nel produrre opere con la perfezione formale di un teorema.
Mi piace finire con un esempio di produzione “costretta” dello stesso Calvino citando dalla poesia dedicata a Georges Perec, eroe del lipogramma, cioè della composizione in cui si possono usare solo determinate lettere. Tale poesia è composta unicamente con le lettere del titolo Georges Perec oulipien. “Le leggi che si pose e che seguì/ (sono) /Uno scoglio nel gorgo che è l’errore?/(…) O son spose sorelle che sorreggono/opere e giorni, perché non si