Lo spazio aperto delle dissenzienti, di Sara Poletto
«Rifiutare di velare la propria voce e mettersi a “gridare”, qui stava l’indecenza, la dissidenza. Perché il silenzio di tutte le altre di colpo perdeva fascino per rivelare di essere, in verità, una prigione ineluttabile […] scrivere, mi ha riportato alle sorde grida di rivolta delle donne della mia infanzia, alla mia unica origine»: questa citazione di Assia Djebar è perfettamente aderente al cuore pulsante della raccolta di saggi Le dissenzienti, a cura di Cristina Bracchi. Che è innanzitutto uno spazio aperto, multiforme e plurale all’interno del quale ricercatrici e studiose dialogano tra loro e con alcune scrittrici, di ieri e di oggi, attorno ad una tematica complessa, producendo riflessioni strutturate e solide. Si tratta di dieci brevi analisi, ciascuna delle quali mette a fuoco le diverse possibilità della letteratura come specifico strumento di dissenso, esplorando dunque una trama fitta e ricchissima di esperienze e scritture tutte interconnesse e avviluppate attorno ad un campo semantico, la dissidenza, difficile da definire e a rischio di semplificazione. Cosa significa essere una dissidente, produrre letteratura come dissenso? Nell’introduzione Cristina Bracchi, esperta di storia della cultura e teoria della ricezione, risponde chiaramente a questo interrogativo negando la connotazione, falsamente uniformante, della letteratura dissidente come militanza e proponendone al contrario una concettualizzazione ampia, polifunzionale e volutamente disarmonica: «il dissenso va spiegato e ridefinito ad ogni occorrenza e circostanza, e regola su se stesso la pratica di pensiero o di azione che ne deriva secondo il contesto da cui prende esistenza». Dunque le autrici sono pienamente consapevoli di avere davanti scritture magmatiche in cui individuare innanzitutto un disagio “situato” all’origine di forme di dissenso e denuncia posizionate.
Le dissenzienti sono autrici del Novecento europee e statunitensi ma non solo, ciascuna delle quali elabora un racconto a partire dal sé, dal contesto storico e sociale, dalla propria formazione culturale; esse si espongono in quanto “non appartengono” per antonomasia, si collocano continuamente al di fuori, lungo quei confini – quei “margini” – che sono luogo di libertà e di ri-pensamento, sfuggendo così qualsiasi realtà prefissata. Queste scritture poste a confronto si muovono tra tradizione e rottura, tra realtà storica e autobiografia e, sottraendosi ad ogni classificazione, si profilano come alternativa possibile al canone. Anzi lo reinventano rovesciandone le regole.
Il risultato è una polifonia di voci lontane nello spazio e nel tempo che trovano terreno comune nel disagio di essere donne entro gli angusti confini del monolitico, violento e repressivo pensiero maschile su cui creano però una frattura, incredibilmente problematica, aprendo alla diversità, alla molteplicità e al dubbio. Con una struttura che riflette le idee fondanti del pensiero femminista contemporaneo – smantellamento del mito della neutralità intellettuale, interdisciplinarità, mancanza di dogmatismo, capacità di rimettere l’oggetto d’analisi continuamente in discussione, volontà di coniugare teoria e prassi, etica ed estetica – Cristina Bracchi, Monica Bandella, Simona Barello, Paola Bava, Luisa Bistondi, Anna Chiarloni, Valeria Gennero, Marie Thérèse Giraud, Edda Melon e Luisa Ricaldone rintracciano le molteplici figurazioni della letteratura come dissenso distinguendone forme tendenzialmente politiche, opposizione a fascismo, nazismo e imperialismo, crisi dell’ideologia marxista, contestazione di un femminismo puramente speculativo, uso della parola scritta come strumento per rompere il silenzio imposto alle donne, esilio, rifiuto di identità predefinite, rottura di ruoli e convenzioni. Ed un dissenso più intimo, soggettivo, in quanto conflitto aperto tra generazioni, auto-narrazione ed infine decostruzione di linguaggi tradizionali.