Perseguitato e minacciato dall’Inquisizione, convocato d’urgenza dal Papa per giustificarsi e poi sospeso a divinis e scacciato come l’ultimo dei miscredenti. Eppure l’unico «peccato» del francescano Fra Giacomo da Poirino (al secolo Giacomo Marrocco), rettore della parrocchia di Santa Maria degli Angeli a Torino, era stato quello di assolvere sul letto di morte un moribondo. Quell’uomo non era un comune miscredente, bensì uno dei nemici della Chiesa: lo scomunicato Camillo Benso di Cavour. A duecento anni dalla nascita del Conte e a 150 dall’Unità d’Italia, un professore dell’Università di Pisa, Lorenzo Greco, pubblica un romanzo storico (Il confessore di Cavour, edizioni Manni, Lecce) dedicato a quel prete atipico e straordinario capace, prima davanti al pontefice e poi sotto le minacce dell’inquisitore, di non tradire se stesso e il suo apostolato, e subire punizioni e persecuzioni e la riduzione allo stato laicale.
DOCUMENTO ECCEZIONALE Per ricostruire i fatti, il professor Greco si è basato su un documento eccezionale trovato in un archivio toscano. Si tratta di un racconto autobiografico nel quale, come in un diario, Giacomo da Poirino racconta quei momenti terribili e dimostra il coraggio con il quale, davanti a Pio IX, rifiuta di sconfessare il suo operato (come richiesto dal Papa) e conferma la validità misericordiosa dell’assoluzione davanti a un’anima in cerca di Dio. Fra Giacomo si rifiuta di certificare una mai avvenuta ritrattazione di Cavour del suo operato contro il potere temporale della Chiesa e che invece il papa avrebbe voluto per dimostrare il pentimento del Conte. «Santità, mi perdoni, a fare tale dichiarazione non posso senza tradir la mia coscienza ed infamar me stesso, epperciò sono pronto a soffrir ogni cosa, anche la morte, piuttosto che cedere». E’ un episodio oscuro quello raccontato da Greco con particolari inediti che anche i maggiori biografi del Conte non conoscevano. «Giacomo fu parroco nella chiesa vicino al palazzo di Cavour – spiega Lorenzo Greco -, e si trovò per insistenza del Conte a promettergli di assisterlo in punto di morte con i conforti religiosi. Cavour era cattolico come tanti, non praticante, però si preoccupava che la sua morte non fosse un giorno occasione di scandalo nella società torinese e nazionale. Essendo Cavour scomunicato per il suo impegno politico nel contrastare i privilegi della Chiesa, e nell’attentare al potere temporale del Papa, il frate non avrebbe potuto dargli i sacramenti». Invece il frate mantenne la promessa. Confessò «il nemico della Chiesa» e gli impartì i sacramenti.
TERREMOTO IN VATICANO La «salvezza spirituale» dello stratega dell’Unità d’Italia, provocò un terremoto in Vaticano. Pio IX, informato della «scandalosa decisione», volle un incontro personale con Fra Giacomo. Appena si trovò davanti a Pio IX questi gli disse: «Alzatevi e mettetevi davanti a me e rispondete alle interrogazioni che sono per farvi. Voi dunque avete confessato Cavour?» «Santità io confesso tutti quelli che mi chiedono di confessarsi da me».” «Intanto: ditemi un poco, questa ritrattazione di Cavour esiste o no? Se esiste pubblicatela. Se no! dichiarate che voi avete mancato al vostro dovere d’imporgliela di fare». (Si pretendeva che Cavour prima di ricevere i sacramenti ritrattasse il suo operato politico) A tale interrogazione dissi: che di ritrattazione non ne sapevo nulla; l’avrà fatta, o non l’avrà fatta non so! Allora il Santo Padre mi disse: «E chi deve saperlo? Non sapevate che prima di confessarlo dovevate dirgli: ritrattate Signor Conte di Cavour tutto quello che avete fatto contro la Chiesa e poi principiate la vostra confessione?» (Il frate mette la questione sul piano teologico: il dovere di un prete di soccorrere chiunque in punto di morte chieda i conforti religiosi, ma il Papa pensa solo all’aspetto pubblico e politico di un Cavour «nemico» della Chiesa che muore in grazia di Dio e salva l’anima) Io gli ho riposto che il detto Conte mi aveva chiamato per confessarsi, ed io avevo fatto il mio dovere. Allora il Santo Padre, piuttosto in collera, dissemi: «no che voi non avete fatto il vostro dovere, epperciò dichiarate in iscritto che voi mancaste ad un vostro stretto dovere di obbligarlo a ritrattare».
L'INQUISIZIONE Poirino fu poi costretto ad affrontare l’esame dell’Inquisizione. «E qui intimorito e forse minacciato – spiega Greco - il frate soffre ed esita appena, ma decide di tenere testa anche davanti all’inquisitore che lo interroga con grande abilità gli offre vari escamotage logici per risolvere la controversia». Basterebbe che il frate dicesse che nell’emozione del momento era un po’ confuso e non ha pensato a far fare la ritrattazione al Conte, e tutto sarebbe risolto. «Ma il frate non si arrende, si rifiuta di svilire il suo operato – continua Greco -. E quindi i superiori lo prendono per birbante, zuccone, ignorante. Ma egli: “non posso aderire al vostro consiglio perché non voglio agire contro la mia coscienza, sarò vittima, andrò sul patibolo, ma dirò sempre che non posso”» Quando poi Poirino scrive la dignitosa relazione e la porta al Papa, questi la scorre appena e lo rimbrotta dicendo che quei fogli sono buoni per «avviloppare i salami». «Le minacce sono sottili ma palesi – spiega il professor Greco - : rischia di perdere la libertà, di non tornare più a casa. Poi le pressioni politiche del Piemonte, e il timore di fare del frate una vittima, nel clima politico agitato del momento, consiglia di far partire il padre verso casa. Poco dopo sarà sospeso a divinis, pagando una fermezza e una dignità straordinarie». Fra Giacomo muore povero e solo a 77 anni, quindici anni dopo la Breccia di Porta Pia e la fine del potere temporale della Chiesa.