È legata alle celebrazioni del 150° anno dell’Unità d’Italia un’altra ricorrenza: i 150 dalla morte di Camillo Benso conte di Cavour. Uno dei massimi fautori dell’unificazione nazionale non poté vederne – e non poté governare – l’immediato prosieguo di nazione sotto una sola bandiera, perché morì il 6 giugno 1861, a soli cinquant’anni, pochi mesi dopo l’apertura del primo parlamento italiano.
La morte di Cavour costituì un momento ulteriore di conflitto con Roma. Colui che aveva proclamato il principio di “Libera Chiesa in libero Stato” (e che nel marzo 1861 aveva dichiarato che “l’Unità d’Italia non poteva prescindere da Roma capitale”), era stato colpito da scomunica (26/03/1860); e in punto di morte, per ricevere il viatico con i sacramenti, era costretto a ritrattare e a pentirsi per la sua attività contro il potere e i beni ecclesiastici. Cosa che non avvenne. Come si precipitarono a dichiarare i suoi parenti.
È nota la vicenda che coinvolse il suo confessore, il cappuccino fra’ Giacomo da Poirino, che lo assistette nel momento estremo. E che, immediatamente, fu richiamato a Roma dal medesimo Pio IX, perché rendesse conto di come fossero andate effettivamente le cose. Il povero frate si trovò al centro di una diatriba, sotterraneamente politica ma presentata come teologica e di principio: una sottile ragnatela di interessi spirituali connessi strettamente con quelli temporali. Eppure non si lasciò intimidire dal pontefice e dall’Inquisizione, e non svelò cosa il Cavour disse in confessione, né volle riconoscere di aver errato nell’amministrare i sacramenti a un suo parrocchiano, pur scomunicato.
La vicenda ebbe risvolti impalpabili, eppure dirompenti. Si rischiò la sollevazione popolare. Quindi non stupisce che sia stata trattata più volte dagli storici, sollecitati soprattutto dal “Resoconto” che lo stesso fra’ Giacomo aveva dovuto stilare per i suoi superiori.
Riproponendo questo documento storico e illuminandolo con sapiente invenzione, Lorenzo Greco ha pubblicato, per i tipi del salentino Manni editore, il romanzo Il confessore di Cavour. Professore di Sociologia della comunicazione e di Letteratura contemporanea (a Pisa, a Berkley, a Madison e a Livorno…), Greco narra appunto l’arrivo del cappuccino a Roma, gli interrogatori ai quali fu sottoposto, il contrasto con il pontefice, inframmezzando i ricordi – certo fantastici – sul rapporto amichevole intercorso tra il sacerdote e il primo ministro.
Dai quali soprattutto fa risaltare la degradazione di gran parte del clero, gli assurdi privilegi e l’immenso patrimonio goduti dalla Chiesa, in contrasto alla diffusa miseria del popolo: uno scandalo agli occhi di molti spiriti risorgimentali, non escluso il Cavour che ha modo di lamentarsene con il suo benevolo confessore (il regno sabaudo «coi suoi cinque milioni di sudditi, ha un ecclesiastico ogni 22 abitanti»; di qui l’intento di tassare la «manomorta della Chiesa»). Nel volume la figura dello statista sabaudo appare avvolta dall’aureola dell’amicizia. Naturalmente il fraticello fu sospeso a divinis, perché non si era piegato alle ragioni dello Stato, e, ridotto alla condizione laicale, fugge da una Roma che ai suoi occhi appare una città in rovina.
In tralice, dal romanzo Il confessore di Cavour riemerge la passione e il furore di quei giorni, osservati con l’ingenuità e la sprovvedutezza propri di un povero frate (il che costituisce tuttavia un limite alla ricostruzione degli eventi più generali, spesso affidata al sentito dire, all’auscultazione di discorsi captati dalle finestre del monastero, o alle confidenze dei confratelli). Poco credibili appaiono alcune scelte: come quella del papa che in incognito e in piena notte raggiunge il fraticello nel suo monastero per farsi confessare.
Fra’ Giacomo morirà nel settembre 1885, dopo aver richiesto al nuovo pontefice Leone XIII di essere riconsacrato sacerdote. Il decreto papale di perdono – narra Greco – arriverà il giorno prima della morte del fraticello, che non avrà modo di leggerlo. Licenza poetica: in realtà la richiesta di fra’ Giacomo fu avanzata nel 1882 (è riemerso il documento nel settembre dello scorso anno) e il decreto papale arrivò al fraticello nel 1884, un anno prima della morte.