L'Orso e gli indiani metropolitani, di Anna Pizzo
Uomini e donne di tutte le generazioni [o almeno di quelle cosiddette politiche a partire dal 1968]: leggete questo libro e vi renderete conto di quanto le nostre culture saranno pure pazze, vaneggianti e poco attinenti alla realtà, ma hanno scavato a fondo. Producendo, allora come ora, linguaggi, immagini, stili di vita che fanno ridere e commuovono, a un tempo. Mi permetto questo appello al termine della lettura di questo recentissimo libro di Pablo che tutto è tranne che un libro di memorie, un «come eravamo» una replica della «meglio gioventù» in chiave demenziale. Si parla di «Indiani metropolitani» e di una casa, a Roma, in via dell’Orso che concentra [condensa] spericolati azzardi artistici con epocali cambiamenti di vita. Esagerazione? Sì, forse. Ma tutto in quel mondo, nel nostro mondo, ha da essere esagerato, per essere concreto. La medierà non esiste, essendo stata inventata da coloro che volutamente la confondono con mediocrità. Il libro è una sorta di diario ma soprattutto una grande scatola nella quale sono stati messi alla rinfusa oggetti, colori, suoni, bigliettini trovati in bagno, fotografie, fumetti, giornali, disegni, di un luogo che –per un periodo– è stato ogni luogo. Di un tempo che avrebbe potuto essere ogni tempo.
Ci sono pagine bellissime che non riguardano solo quel tempo –un lontano 1977 che molti legano solo agli anni di piombo– ma parlano di quell’altra politica, di quell’altra economia, di quell’altro mondo che oggi rapisce molti perché riesce a toccare ragione e sentimenti.