Paolo Guzzi, Sperduti nello spazio

01-12-2009
Lost in space, di Gualberto Alvino

Tra i poeti oggi attivi in Italia Paolo Guzzi è senza dubbio,  oltreché il più schivo e insensibile alle mode letterarie, uno dei più naturalmente dotati  non meno di respiro speculativo che di perizia tecnico-formale. L’aficionado sa bene che nelle sue mani la lingua poetica è sempre stata prodigiosamente duttile e mansueta, ma in questo nono libro  ha consistenza d'argilla: tesse trame, fabbrica mondi, innalza scenari, plasma tipi, evoca/finge stagioni storiche, verga diari di bordo e testamenti, illumina tracciati  (guardandosi ovviamente dall’additare mete, fedele al proprio statuto perentoriarnente scettico e problernaticistico), travalica generi e registri accordandoli in un flusso gagliardo e costante in cui alto e basso, colloquialità e lirisrno,  pathos esliricazione coabitano senza il benché minimo attrito («Da molti decenni mi chiedono: "sei parente?" / allora non rispondo nemmeno, mi piacerebbe essere la moto che  rossa si distende sul filo della strada in campagna: “sei parente?”No, di certo, ma cosa conta? / Avrò scritto centinaia di poesie e pochi le avranno lette: / nessuno mi chiede mai dei miei versi»).

Il tutto all'insegna della dialettica senza sintesi, della crisi perpetua, e si dica pure dell’ossimoro – questo il nucleo della poetica guzziana sin dagli esordi –, perché la sua è bensì arte dell’effabilità e dell’onnipotenza espressiva  (come anche prova il verso lungo tra Pavese Withman e Ginsberg, a ictus regolari, insaziabilmente ragionativo), ma sgorga da sentimenti dominanti di segno diametralmente opposto: l’invidia del volo, la coscienza di non saper consistere, l’orrore senza fine di sé della propria inettitudine, ad avvitarsi in un mondo tanto aborrito che rabbiosamente amato.
Non silloge ma poema scandito in trenta sezioni, pur del tutto autonome nella loro compiutezza. Sperduti nello spazio è il “romanzo” insieme brioso e straziante della tensione spezzata e della brama inappagabile, interpretato da 19 avatar cui l'io narrante assegna la missione di vivere le mille esistenze a lui negate («Ricomincia una nuova vita, un'altra, nella mansarda / o presso la libreria Shakespeare and Company: segui la festa mobile, fuma la prima sigaretta, / bevi il primo calvados, rabbrividisci per il primo amore, / giovane e sano, trasgredisci e delinqui, / ruba nel supermercato la rosea scatoletta di salmone, / e nel negozio le opere complete di Flaubert»; «sei il pellerossa / che scocca la freccia, sei la freccia che colpisce / sei colui nella spalla del quale la freccia si conficca, / sei la spalla, dolorante e rotonda, / colpita dalla freccia»). Con che intensità e resa poetica sia il lettore a toccare con mano.