Una vita vissuta in compagnia e sotto gli occhi di un piccione, di Barbara Baroni
Il titolo incuriosisce subito, forse perché mischia due capolavori del cinema come “Tiro al piccione” di Giuliano Montaldo (1961) e “L'ultimo metró” di François Truffaut (1980). Oppure perché ricorda anche il film che ha vinto la penultima edizione del Festival del Cinema di Venezia: “Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza” di Roy Andersson (2014). E in effetti il libro narra una storia di esistenze, metrò e piccioni. S'intitola “Il metró del piccione” di Piero Travaglini appena uscito per Manni Editore. Quel che non si direbbe è che i piccioni, volatili che stanno invadendo e infestando le nostre città, solleticano, e hanno solleticato la fantasia degli artisti.
Probabilmente l'autore ha visto tutti e tre i sopra citati lungometraggi se, all'inizio della storia, scrive: «Mai avrebbe creduto Moreno che l’incontro con un piccione e la morte tragica di un perfetto sconosciuto sarebbero stati all’origine di grandi trasformazioni della sua vita, e che entrambi i fatti – il volatile e il dramma umano, fossero tanto rivelatori e sorprendenti da cambiare la sua visione del mondo, sconvolgere le sue abitudini ed affermare in lui nuovi valori. Invece accadde, e in capo a due mesi non era più lo stesso».
Morte, amore, passione, tradimento, insomma la vita vissuta in compagnia e sotto gli occhi di un piccione. Moreno, il protagonista, non passa sopra niente perché ogni cosa (o persona o accadimento) è degna di un dubbio, una domanda, una spiegazione che gli si accavallano nella testa: e se il mondo non fosse altro che una continua trasformazione chimica alla quale niente può sottrarsi e che comprende ogni cosa? Dalle nuvole ai fili d'erba, dagli uomini agli animali, dalle passioni alle intenzioni? E se pure l'amore procedesse in tal modo? Egli è uno studente modello, intriso del mito della scienza e di Lavoisier. E con ogni cosa colloquia, parla, discute, osserva con acutezza: «Aveva osservato infinite volte il monumento e si era sempre chiesto per qual motivo la più arguta e venerabile tra le dee dell’Olimpo avesse preferito una civetta accanto a sé». Si tratta di un romanzo psicologico e postmoderno, di concreta poesia, che tra paradossi erotici e figure drammatiche e burlesche disegna il personaggio di Piccio, il piccione che viaggia sul metró per spostarsi da un quartiere all'altro di Roma. E alla fine, le equazioni e le verità scientifiche di Moreno saranno gettate a carte quarantotto dal piccione che “riflette (ancora meglio degli umani) sull'esistenza”.