Versi dialettali di Pietro Gatti narrati da Valli, di Dino Levante
Tutto è poesia e la poesia è Donato Valli. Non ci sarebbe stata poesia salentina, assurta a livelli internazionali, senza l’attenzione riservata dall’allora giovane studioso e critico letterario e poi, negli anni successivi, dal docente universitario, ora attempato, veterano conoscitore dei meandri della scrittura lirica di questa terra. L’odio e l’amore raccontato nei versi da tutti, proprio tutti i poeti salentini dalla fine dell’Ottocento sino ai nostri giorni, sono stati il pane quotidiano oggetto di amorevoli cure da parte di Valli. Tra quegli autori un singolare profumo emanavano gli uomini di lettere dialettali, che usavano un linguaggio ormai desueto, di pochi, quasi un gergo antico attualizzato, contaminatosi col tempo e con la continua presenza dei mass media. A loro Valli non ha lesinato studi e autorevoli contributi critici. Così come ha fatto con i due preziosi volumi dal titolo Pietro Gatti. Poeta, arricchiti da disegni inchiostri e opere pittoriche di Domenico Uccio Biondi e dalla utile e puntuale nota bio-bibliografica di Gerardo Trisolino. L’antologia si colloca nel dibattito, ancora attuale, sulla poesia dialettale contemporanea, ritornato insistente proprio negli ultimi mesi per le poco piacevoli spinte politiche nordiste, sul problema della distinzione tra liriche dialettali e componimenti popolari. Già Pier Paolo Pasolini aveva assunto come espressione e strumento di condivisione il dialetto friulano, proponendosi di aggredire la conoscenza tramandata attraverso una lingua ormai mortificata e svilita da un accademismo plurisecolare. Con Gatti, uno dei punti più alti della poesia dialettale del Salento, uno dei più convincenti poeti dialettali italiani, il linguaggio popolare viene utilizzato negli stessi modi della lingua letteraria. Negli scritti dell’autore vissuto a Ceglie Messapica (sebbene nato a Bari il 19 gennaio 1913), tangibili sono il fermento di una certa vivacità culturale, la tendenza verso una contemplazione meditata e assorta, un particolare gusto per l’autobiografismo, manifestato qua e là nei versi in dialetto brindisino cegliese. Questi aspetti rendono l’opera poetica di Gatti più riconducibile nell’ambito dei poeti dialettali di arte piuttosto che nella sfera della schietta tradizione popolare e ciò lo si constata facilmente leggendo le traduzioni in lingua dei suoi componimenti dialettali. Come si diceva un mondo meditativo, quello dell’autore morto nel silenzio della campagna cegliese il 27 luglio del 2001, con una tendenza spiccata verso una introspezione che sembra assumere, a volte, toni esasperati. Il poeta propone il suo smarrimento che scaturisce dalla consapevolezza del misterioso corso delle vicende umane, una serena considerazione del proprio destino. Tante le occasioni di riflessioni e intriganti pensieri.