Una vela umida di destino chiede a noi un porto profondo (Mario Luzi)
Chi vaga sulle onde della lingua trova nelle liriche di Spataro il porto di Luzi. Il nostro destino, e i suoi misteri, esigono un'accoglienza intima e solidissima quando incalzano per dispiegarsi. La lingua di Spataro si fa porto e vela insieme (Pietro Spataro, Cercando una città, Manni). Contiene, dispiega. E chi legge prova meraviglia. Conoscendo quanto aspro è il mestiere di giornalista che graffia termini e parole piegandoli allo sforzo del comunicare con oggettività, stupisce la purezza rimasta tale. L'animo che accoglie l'emozione la custodisce con parole all'altezza, non contaminate dall'opacità di quel reale " che avremmo voluto e non abbiamo avuto" (da Il gilet). Nelle liriche dell'esperto giornalista troviamo, con stupore, parole animate dalla parte migliore di noi che si rivede solo "nei sogni" (da Fotografia) e nel mondo immaginato come "un delicato fiorire lento" (Cercamondo). Tra un verso e l'altro si vorrebbe cogliere del tempo la fisionomia prismatica, a guisa di ottagono, "come braccia in forma di accoglienza" (Ottagono), non di "rettangolo" che non dà respiro, non di "quadrato" che stipa tutto in una sola dimensione. E' un tempo fatto di poesia quello che dà ossigeno, che può ricongiungere "terra" e "mondo" come solo i fiori sanno fare, che trascende e accompagna coloro che il dolore coglie recisi contro ogni "Ripetizione impossibile". Un ritmo che ci conduce oltre, nel mondo incantato dove le parole respirano: "Roteando il capo ho interpretato / il cenno di un orizzonte nuovo / oltre la luna, oltre il cielo, oltre / Là, dove la parola è pietra dura, impura / inequivocabile fattezza / essere corpo di suoni ritrovati / semplicemente vita" (da Profili). Sollecitato dal reale, dalle figure del nostro tempo (Berliguer, il Che..., gli operai) Spataro ci porta nel sogno della vita e nella vita che solo sognando può restare se stessa, e seguire segrete vocazioni, e gettare ponti per l'eterna rivoluzione, quella dell'immaginario.
Con l'immaginario che sa trarre mondi dalle cose, trasformiamo la realtà, offrendo liane alle anime affinché esse si ascoltino oltre i limiti del finito.
Il poeta sa realizzare tutto ciò magistralmente e pudicamente senza "farlo apposta"…senza voler essere un "tribuno" o un "maestro". Spataro lieve e forte insieme dunque con grande naturalezza conferisce anima e forza alla materia del mondo mutando la sua apparente opacità in luce : questa luminosità è la disposizione allo sguardo attento e penetrante, è l'attitudine alla osservazione umile e "politica".
Ciò che colpisce infine nei versi di Spataro (allusivi talvolta a Pasolini e a De Andrè) è appunto una natura mista tra l'ode poetica e la lirica musicale. Una vera sorpresa che conferisce all'opera una sorta di forza "moltiplicativa" di se stessa.
Spataro usa con altrettanta abilità "termini" e "parole" traendo dalla precisione degli uni e dalla "vaghezza" delle altre l'aspetto più pregnante della comunicazione letteraria in versi: l'attitudine calamitante. Il lettore (cioè l'elemento più importante secondo Roland Barthes nel discorso mediatico) si cala in questi versi vieppiù con desiderio.