Insostenibile leggerezza, di Pino Di Maula
A volte anche il più sofisticato e avveniristico dei microscopi si rivela impotente. Casi in cui può poco anche la prova del doppio cieco, quella che si usa in genere per verificare l’efficacia dei farmaci. C’è solo un mezzo, allora, per misurare la qualità dell’esperienza. Il tempo. Se è pesante e, come si dice comunemente, non vedi l’ora che passi, vuol dire che c’è oppressione e che non produrrà alcun beneficio. La sua leggerezza, al contrario, certifica la qualità dell’esperienza fatta. Vale in ogni caso, nel privato come in campo politico o professionale. Bene, per me quest’anno è volato. E’ durato un attimo, nonostante la complessità delle sfide che pone un settimanale assolutamente originale, e per questo sottoposto a infinite pressioni affinché si omologasse, quando deve dar conto dei fatti attraverso una ricerca a tutto campo, che molti fan fatica persino a immaginare, sia sul piano del linguaggio che dei contenuti. Quando gli editori di questa scandalosa, in quanto rivoluzionaria, testata mi propose di dirigerla, per accettare devo aver immaginato il tuffatore di Paestum. Trascorso un anno dall’incosciente slancio, dopo aver attraversato controcorrente l’oceano in trecento giorni, se mi volto indietro vedo un mare di cose fatte assieme a straordinari colleghi, a tante persone meravigliose a cui voglio augurare davvero di cuore un 2007 pieno di nuove conoscenze, realizzazioni e trasformazioni. Tanto per non perdermi neanche una perla (vedi l’incontro organizzato da Left con Franco Giordano alle porte della Fiat di Cassino, ma anche le campagne antimafia, per l’indulto, sul pluralismo d’informazione, per i diritti civili e la libertà di ricerca) tra quelle raccolte in mezzo alle cozze piene di sabbia e streptococchi poste come esca da alcuni nella speranza di avvelenarci. Così non è stato. Ne ho avuto la conferma dai confronti con le persone. Tanti e preziosissimi. Cito tra tutti il primo entusiasmante, la giusta carica per partire, con il direttore di Liberazione Sansonetti e l’ultimo, di ugual fascino, con il vice direttore vicario de L’Unità, Pietro Spataro. Cercando la città (dal titolo del suo ultimo libro, ideale regalo alternativo a qualsiasi diavoleria tecnologica per i ragazzi) se ne va l’autore, quando non preso da responsabilità redazionali, per comprendere attraverso l’essenza del linguaggio in versi le cause della crisi di una sinistra che appare confusa quanto un boxer messo all’angolo da attacchi esterni, il crollo del comunismo, e crisi interne, il panico. Spataro non ha risposte risolutive. Non offre diagnosi e terapie per il malato colpito da processi autoimmuni ma <<nelle asciutte liriche che fanno questo libro – come scrive nell’introduzione Pietro Ingrao – è forte la domanda, la speranza di un consorzio umano, plurimo e articolato, dove gli abitanti si riconoscano reciprocamente>>. Lontano dal desk delle agenzie, fabbrica di notizie che di rado, ormai, tende alla ricerca della verità (va di lusso quando ci si avvicina onestamente al verosimile), distante dalla politica intesa non più come passione bensì come estrema sfiancante mediazione, Spataro si rompe la testa per comprendere <<come sia stato possibile lasciarsi inquinare, così tanto, pensiero e comportamento dai modelli culturali imposti da Berlusconi>>. Per lui, quel che conta, forse più del danno economico procurato, al Paese è infatti la volgarità che con l’egoismo diffuso sembra ormai dominare ogni aspetto della nostra vita. Per colpa della destra certo, ma anche, temo, per una resistenza mancata. Una nostra incapacità a fare rifiuti. “Con il crollo del muro la sinistra sembra aver archiviato l'idea non tanto di opporsi ma di battersi per una società diversa da quella attuale. Anziché costruire un'alternativa di pensiero e di risposte abbiamo subito forse, negli anni della crisi, il vento dell'omologazione". Così fan tutti. Quei Ds che vogliono metter su famiglia con la Binetti. Ma anche intellettuali e giornalisti.
E non solo sul piccolo e grande schermo. Anche sulla carta c’è l’impressione che tanti, troppi, piccoli novelli Robespierre vogliano imporre una scrittura che parte, apparentemente, da sinistra ma finisce inesorabilmente, di fatto, a destra. Una perversione autolesionista che viene da lontano. Durante anni di piombo, non solo tipografici. O poco prima. "La crisi della sinistra - per il collega - nasce forse in quegli anni, con il fallimento del compromesso storico di Berlinguer, l'uccisione di Aldo Moro e la difficoltà a individuare una nuova strategia. Per lungo tempo non sapevamo chi eravamo e dove stavamo andando...". Nasce lì, aggiungo io, il serpente, madre e padre di tutti i fallimenti, che dalle sagrestie s’insinua sotto forma di demagogia nella politica per corroderla, e di fatuità tra le colonne delle principali testate di sinistra per annunciare un suicidio culturale, più che commerciale. Meglio sarebbe, perciò, imparare a riconoscerlo per stanarlo (e gettarlo magari, nella notte di fine anno, assieme a tutte le perfide e stupide furbizie del 2006) prima che arrivi strisciando a desensibilizzare con i suoi morsi anche l’Unità e Liberazione. E Left, ovviamente. Tranquilli, è solo un incubo. Arrivederci, perciò, al nuovo anno. Con leggerezza.