Pietro Spataro, Cercando una città

07-02-2007

Cercando una città, senza stradario, di Viola Giannoli

Brevi liriche, strofe asciutte, quasi epigrafi in rime amare raccontano la crisi di un secolo, il Novecento, dilaniato dall’agire cieco delle bombe e attraversato da duri conflitti sociali, sanguinose guerre, avanguardie politiche e personaggi-simbolo, come Berlinguer, Pintor, Wojtyla e Che Guevara. Composti da Pietro Spataro, questi versi si trovano nel libro Cercando una città, seconda raccolta del poeta-giornalista, scritta tra il 2002 e il 2006 e pubblicata da Manni. Spataro è un «osservatore imperfetto... senza nemmeno uno straccio di stradario», ma anche un ostinato cercatore che, tra le macerie del vecchio secolo e quelle del nuovo millennio, si mette a immaginare un domani, un mondo migliore rivisto per ora solo nei sogni, alla ricerca di un nuovo ordine umano, di un’altra forza di gravità, di una città, appunto,«senza cancelli e senza insegne». La raccolta si apre rievocando i mestieri, dal metalmeccanico al falegname, dall’elettricista al muratore. E grazie alla sua poesia la freddezza alienante dei macchinari muta nel respiro vitale dei congegni, che sono tutt’uno con la passione creativa dell’artigiano. Ma l’esaltazione dell’operaio è subito inibita dalla coscienza (marxista) di un sistema produttivo in cui al subordinato corrisponde un padrone. Con l’irruzione della “modernità” che sconvolge anche il mondo del lavoro,dilagano l’odio di classe e la precarietà, mascherata sotto forma di flessibilità. L’impiegato diventa un disoccupato, un esubero da «tagliare via come escrescenza». E non stupisce che tra le “figure viaggianti” Spataro tessa le lodi dell’ottagono: «città multipolare / trionfo di culture,di saperi / incontro di diversi, uguaglianza...», mentre rettangolo e quadrato sono «perimetro di dolori», «perfezione di regime», «automatismo di destini». La raccolta si chiude con la poesia “Costruzione di una sconfitta”. Incombe sul poeta la paura di «fabbricare... demolizioni», ma anche la speranza, l’attesa di «ignote resurrezioni», di «una città che cerco ancora oggi».