Roberto Piumini, Le opere infinte

07-12-2006
Nella trappola dell’artista, di Giorgio De Rienzo
 
Roberto Piumini è uno scrittore eclettico. Sa montare storie (e favole) dal linguaggio frizzante di invenzioni straordinarie, capace di capriole ad alto rischio, oppure – come accade qui nelle Opere infinite – adattarsi a una scrittura mimetica che ricalca stili antichi. Ed è ciò che capita soprattutto nel primo (e più lungo) racconto di un dittico dedicato a vicende di pittori. Roland Terpier è artista bohémien a Parigi «di riconosciuta e consapevole qualità». Una mattina del maggio 1887 la campana del cancello della sua villetta suona: viene a trovarlo Jean Louis Montgrève, collezionista e critico d’arte, noto in città per la propria competenza e generosità. Se va a trovarlo è per comprare, pare ovvio al giovane pittore.
Inizia così una sorta di caccia al topo, in cui il gatto è però l’artista, anche se ha bisogno di danaro per la vita sregolata e dispendiosa che conduce. Montgrève è invece un antico appassionato d’arte, non un rapace approfittatore dei bisogni altrui. La visita all’atelier si prolunga e l’attenzione finisce per fermarsi su una tela che rappresenta una «veduta di campagna da un largo terrazzo». Il tempo di osservazione pare eccessivo al pittore, che s’infastidisce, mentre finge di continuare a lavorare: potrebbe minacciare una minuziosa ricerca di un «difetto». Non sa Terpier che la sosta dell’esperto non è determinata da una «valutazione» ma da una sorta di incantamento: «un’ammirazione emozionata, entusiasta e totale» di quel quadro.
I pittori sono capricciosi, Terpier ha in sé anche capacità di calcolo. Quando viene a sapere che il collezionista è del tutto innamorato della tela, la dice subito «non finita» e dunque non cedibile. Sa bene infatti che «i lavori incompleti» hanno per gli «amatori un valore supplementare, come sembrasse di impossessarsi di un momento nascente, della fervente energia ispirativa dell’artista». Sbaglia di grosso. Montgrève non trova incompleto il quadro e lo vuole a qualsiasi costo. Si arriverà a un compromesso. Il collezionista acquisterà e avrà la tela per sé a godersela, come sua, ma a due condizioni. La prima è che non la potrà mostrare a nessuno, la seconda è che si impegnerà di dare facoltà al pittore di ritoccarla in qualsiasi momento, quando cioè l’autore capirà perché è incompleta. Questa è la singolare premessa di un racconto che Piumini conduce con sicurezza di fine narratore psicologo. La vicenda che segue rischia di rendere schiavo di un’ossessione il povero Montgrève che nella tela di Terpier vede «la figura compiuta e il senso felice» della propria vita. Ma il senso di pienezza felice è minacciato dall’annunciato intervento del pittore: e l’indeterminatezza del tempo e della entità del «ritocco» fa sprofondare l’amatore in uno stato di apprensione che genera pensieri assurdi, oltre a manovre sbagliate. Accadrà così a Montgrève di fermarsi di fronte al quadro con la «morbosa intensità» di un innamorato che sta davanti alla donna amata la quale però potrebbe morire all’improvviso. Piumini porta con maestria la sua storia originale a un impensato epilogo, che sa renderla ancora più enigmatica e affascinante.