Quando la parola intellettuale aveva ancora senso , di Rossano Astremo
In Il futuro di Fortini, volume recentemente pubblicato da Manni, Romano Luperini riunisce venticinque anni di recensioni, articoli, interventi, saggi dedicati a Franco Fortini, uno degli intellettuali più autorevoli del panorama culturale del secondo Novecento. Fortini, scomparso nel 1994, è stato poeta, narratore, memorialista, critico letterario, scrittore di testi teatrali e cinematografici, traduttore, saggista di temi morali, filosofici, politici, sindacali e sociologici, autore di antologie scolastiche e partecipe del dibattito sulla scuola. Scrive Luperini riguardo questa smaniosa e poliedrica attività dell’autore di “Verifica dei poteri” e “Fogli di via”: “L’orizzonte di Fortini – sempre complessivo e sempre di parte – sembra davvero inconciliabile con quello dei nostri piccoli asettici specialisti”. I testi scritti da Luperini, di diversa ispirazione, dal saggio alla recensione, passando per pagine di pura testimonianza, definiscono il profilo di Fortini, ma ne colgono anche aspetti diversi, con il commento di singole poesie, l’esplorazione di alcuni temi e l’analisi delle posizioni teoriche in campo critico-letterario. Le pagine più suggestive e interessanti sono quelle in cui Fortini viene considerato in contrappunto rispetto ad altre due personalità, quelle di Pasolini e di Calvino, con cui è stato protagonista del dibattito letterario negli anni Sessanta e Settanta.
Infatti, scrive Luperini nell’intervento “L’eredità di Pasolini e quella di Fortini”: “Fortini parla al futuro: il classicismo è da lui assunto (quando è assunto) non come innocenza o evasione o ricerca di purezza, ma, tutt’al contrario per far stridere passato e presente e par tale via ellitticamente parlare all’avvenire. L’anticlassico Pasolini parla al presente; parte dai bisogni immediati; attesta un disagio intollerabile subito e cerca un’alternativa subito, una purezza subito”.
Questa distinzione porta lo stesso Luperini a formulare un’affermazione più radicale: “Fortini è stato l’intellettuale del ’68, Pasolini del ’77”.
Se, però, con Pasolini erano presenti delle componenti culturali comuni, quali l’impegno contro la neoavanguardia, l’interesse per le problematiche religiose e la propensione per posizioni politiche nette ed estreme, più radicale era, afferma Luperini, lo iato che separava Fortini da Calvino. Lo dimostra una querelle nata subito dopo l’episodio di cronaca a tutti noto come il massacro del Circeo, avvenuto il 29 settembre del 1975. L’8 ottobre Calvino scrive sul Corriere della Sera un articolo dal titolo “Delitto in Europa”. Il giorno dopo Fortini scrive una lettera a Calvino nella quale sostiene che il problema non è denunciare le colpe di una parte della borghesia, come sostenuto dall’autore di “Il barone rampante” nel suo intervento, ma, parafrasa Luperini “cogliere il nesso fra organizzazione razionale della produzione capitalistica, regione strumentale che da tale organizzazione si estende a ogni aspetto della vita, compreso quello della ricerca del piacere, e razionalismo europeo di intellettuali come Calvino”.
Un episodio di cronaca, quindi, si trasforma, come si vede, in confronto culturale. Tempi lontani quelli in cui Fortini, Calvino, Pasolini, Sciascia e altri avevano ancora una funzione pubblica, attraverso il loro intervento sistematico sui quotidiani nazionali più diffusi.