Luperini è oggi uno dei pochi, o forse l’unico, erede e continuatore delle problematiche di Fortini. Più linearmente razionalista, più politico, meno poeta e meno attratto dalla teologia, Luperini però non abbandona Fortini né quello che tuttora possono insegnare la sua lotta mentale e la sua spada dialettico e polemica. Questo libro è perciò un’ottima, esauriente e militante introduzione-ritratto, in cui l’interpretazione di Fortini non tralascia nessun aspetto stilistico, ideologico, morale e storico.
Potrei fare due obiezioni, una letteraria e una politica. La prima è che la capacità, da Luperini attribuita a Fortini, di padroneggiare quasi ogni genere di scrittura, è spesso più potenziale che reale. I rimandi dialettici di ogni pagina a ogni altra, di ogni genere letterario e di ogni sapere a ogni altro, hanno finito per impoverire e soffocare in Fortini sia il poeta che il critico, sia l’ideologo che il narratore. Fortini ha sempre temuto l’«agio» e la «naturalezza» di praticare un genere letterario nel momento stesso in cui lo praticava. Le troppe connessioni hanno offuscato in lui l’evidenza delle cose singole. Più fiducia nella letteratura lo avrebbe reso un migliore scrittore politico. La seconda obiezione è perciò politica. Fortini «figlio della Terza Internazionale», intellettuale marxista e complessivo come pochi altri, ha continuato sempre a pensare la Rivoluzione come utopia, pur sapendo che le rivoluzioni marxiste-leniniste nel Novecento erano avvenute e che l’utopia si era dimostrata una menzogna e un inferno.