Romano Luperini, Il futuro di Fortini

25-01-2008
Ricordo di Fortini. Con due obiezioni, una letteraria e una politica, di Alfonso Berardinelli
 
Per il suo libro Il futuro di Fortini ( Man­ni, pagine 110, euro 12) Romano Lu­perini ha scelto come epigrafe una magnifica (e appropriata) quartina di Wil­liam Blake: «I will not cease from Mental Fi­ght / Nor shall my Sword sleep in my hand / Till we have built Jerusalem / in England’s green and pleasant Land» (Non abbando­nerò la lotta mentale, né dormirà la spada nella mia mano, finchè Gerusalemme non avremo costruito, nel dolce e verde suolo di Inghilterra). Una prima edizione del libro, ora modificato e integrato, porta infatti il titolo blakiano La lotta mentale.
Luperini è oggi uno dei pochi, o forse l’u­nico, erede e continuatore delle proble­matiche di Fortini. Più linearmente ra­zionalista, più politico, meno poeta e meno attratto dalla teologia, Luperini però non abbandona Fortini né quello che tut­tora possono insegnare la sua lotta menta­le e la sua spada dialettico e polemica. Que­sto libro è perciò un’ottima, esauriente e militante introduzione-ritratto, in cui l’in­terpretazione di Fortini non tralascia nes­sun aspetto stilistico, ideologico, morale e storico.
 Potrei fare due obiezioni, una letteraria e u­na politica. La prima è che la capacità, da Luperini attribuita a Fortini, di padroneg­giare quasi ogni genere di scrittura, è spes­so più potenziale che reale. I rimandi dia­lettici di ogni pagina a ogni altra, di ogni ge­nere letterario e di ogni sapere a ogni altro, hanno finito per impoverire e soffocare in Fortini sia il poeta che il critico, sia l’ideo­logo che il narratore. Fortini ha sempre te­muto l’«agio» e la «naturalezza» di pratica­re un genere letterario nel momento stes­so in cui lo praticava. Le troppe connessio­ni hanno offuscato in lui l’evidenza delle cose singole. Più fiducia nella letteratura lo avrebbe reso un migliore scrittore politico. La seconda obiezione è perciò politica. For­tini «figlio della Terza Internazionale», in­tellettuale marxista e complessivo come po­chi altri, ha continuato sempre a pensare la Rivoluzione come utopia, pur sapendo che le rivoluzioni marxiste-leniniste nel Nove­cento erano avvenute e che l’utopia si era dimostrata una menzogna e un inferno.