Un poema magmatico, di Luigi Fontanella
Critico letterario, studioso di Beckett, musicista, ludolinguista, poeta e autore teatrale, Montalto si cimenta, dopo il letteratissimo e fibrillante Scribacchino di sei anni fa, con l’impianto poematico, affermando che “questo poema nasce dal paradosso di chiedere tempo al tempo per riuscire ad esistere ed anche dalla disperazione di un’umanità che patisce la sua finitezza ma spreca l’esistenza svuotando le ore”. Da qui una sorta di meditazione sul Tempo, sulla Vita e sulla Morte che si distende incombente in questo poema intenso e magmatico, a patto di un vivere insoddisfacente, ben sapendo tuttavia, l’autore, che la morte è forse solo “il decubito di una mente / la promessa mendace di esistenze insostituibili”. Libro ambizioso, costruito per grumi densi e accaniti, con versi che vorrebbero quasi uscire fuori dalla pagina, nei quali Montalto discetta, filosofeggia e s’irretisce sempre più nel suo denso ragionare-in-versi, rischiando qua e là il solipsismo. Cito i potenti versi finali, cupi e apodittici: “Tu, che raccogli il cimento dell’obolo / ed accusi la fimosi delle idee intrappolate nel comodo: / se esisti, immagine di cattedrali atomizzate in proiettili / e palinsesto di sure dai deviati sensi, / se esisti, uomo, appari a te stesso aggregato in popolo / ed annuncia la capitolazione del tuo regno su paludi edificato. / Forse nella morte è la forma, ma nell’odio è l’innato abisso. // I colpi dei chiosi nei polsi riecheggiano inutili nel minareto. / Tutto esce e grida la propria finitezza all’universo / e la risata in eterna risposta si fa attendere fra le stelle”.