Stefania Negro, Risonanze

04-07-2011

Le parole e i silenzi dell’amore, di Antonio Errico

Una lunga poesia d’amore. Parole a volte pacate, altre volte incalzanti. Tentativi costanti di sbarrare il passo all’assenza che minaccia. Una coscienza del tempo stupefatta. Mi sembrano questi i fili semantici che muovono Risonanze, la raccolta poetica coerente e compatta che Stefania Negro pubblica con Manni. È attenta alla parola, Stefania Negro: alla sua risonanza, appunto, alla possibilità che ha di evocare, di configurare o di figurare tempi e sentimenti e storie, di ricomporre significati che il tempo ha frantumato o comunque sfilacciato. La poesia di questa raccolta si muove tra una dimensione dell’attesa e una del ritorno: l’attesa è la condizione che attraversa ogni stagione della vita. Il ritorno è speculare ad essa, si costituisce come una ricostruzione del tempo aspettato. Ma la ricostruzione del tempo non può essere altro che una costruzione del pensiero. Ecco, allora, che Stefania Negro si orienta in questa costruzione: recupera istanti, scaglie di passione, oggetti che “ scandiscono / il senso perduto delle cose”, il senso di un odore, di un sapore, perché questo sollecita i ricordi. Il pensiero oscilla tra volti e voci del passato che si rispecchiano nel presente “ e gli attimi che “ la memoria a grappoli raccoglie/ in ogni vissuto sorprendente”. È una poesia che inquadra il tempo dell’esistere alternando gli interni e gli esterni, che dallo schizzo di paesaggio passa allo scandaglio della profondità emozionale. L’amore è l’unica condizione certa nell’universo di incertezza che si spande intorno e dentro di ciascuno, è il riferimento che rimane nel farsi e disfarsi della storia. Ma proprio per questo, per questa sua unicità, essenzialità, l’amore è anche l’espressione del sentimento che fa più paura: si ha paura della perdita, si ha paura dell’assenza, della passione che passa, che si accartoccia, a cui si rinuncia; si ha paura della negazione, della solitudine, del vuoto, del desiderio che si spegne, del pensiero che si distrae. Si ha paura della fine dell’amore. Allora si cerca un’appartenenza totale, assoluta, che diventa quasi una sorta di ricerca del possesso, quasi una condizione di pacata possessione. “ Nessuno saprà mai quanto ci/apparteniamo se non il vento/ che soffia in ogni direzione”, scrive Stefania Negro. L’amore, dunque, appartiene alla natura: alla natura appartiene il senso e l’essenza dell’amore. Già in apertura della raccolta compare la condizione del vento, in una invocazione – o implorazione- dell’amore che, dunque, appartiene alla natura e alla dimensione interiore, all’intimità, alla profondità, all’essere irripetibile. Poi, la parola e il silenzio: non in una contraddizione ma in una specularità o coincidenza. Il silenzio per Stefania Negro comincia quando la parola ha detto tutto il dicibile, quindi si ritrova in un confronto con l’indicibilità, con l’impossibilità di rappresentarsi in un codice. Perché accade, talvolta, che l’amore sia appunto indicibile, che abbia espressioni, suggestioni, sensazioni che sfuggono ad ogni seduzione di metafora. Allora, a quel punto, il poeta si affida al linguaggio della natura: alla sua luce, al suo colore. Stefania Negro sa perfettamente che la poesia si fa con l’emozione e con la ragione: con l’emozione e con la ragione che l’esistere domanda, o pretende.