Augusto Blotto, La vivente uniformità dell'animale

01-04-2005

In altra lingua, di Carlo Pizzingrilli


Si suppone che il rovello, intorno al quale cresce, dicesi abnormemente, la poesia di Augusto Blotto, possa essere letto a pagina 362 del ponderoso volume edito da Manni, in un testo che inizia con la seguente terzina: "Come si può formare, dietro una fronte,/un pensiero, in altra lingua? fronte spatola,/destinata anche a sparire, prima o poi". Altra lingua è la "lingua senza grammatica", di cui dà conto Stefano Agosti nella sua introduzione alla raccolta di Manni, una lingua "senza parti articolate", "che non è suddivisa in elementi e che non nasconde una verità da svelare perché ostenta piuttosto la propria intimità con il pulsare della vita"; altra lingua è la linguamadre, come scrive Marica larocchi nella prefazione all'edizione di Anterem, il "luogo oscuro del materno e del perturbante, immune da durata e da estensione"; altra lingua, pare di poter dire, è l'agrammaticalità stessa, nozione centrale nella strategia deleuziana, volta a nominare la convenienza interna dell'idea con ciò che essa esprime, non con l'oggetto che designa. Per Blotto la questione è già subito "come si può", egli non sembra attardarsi sulla domanda se debba o possa, un pensiero, formarsi in altra lingua.
Nei termini e con la decisione con cui la questione viene posta, non si può non riconoscere l'eredità dell'invenzione verbale di Ruimbaud o sintattica di Mallarmé, dell'espressività paralizzata del Gruppo 47 (Enzensberger, Grass, Bachmann, Celan) o della sperimentazione del Gruppo 63, proteso verso un nuovo "spirito linguistico delle cose"; tuttavia si è di fronte a una parola poetica che, ricorrendo al lessico deleuziano, verrebbe da chiamare macchina celibe, non eversiva, non balbuziente, neppure comica, ma sovrana rispetto a se stessa. Qui si dà singolarità piuttosto che opera (si direbbe che per una volta il lavoro cessi di avere la meglio e perda finalmente la sua prerogativa, riconosciutagli ormai dalla durata del capitalismo, di fondamento dell'esserci), singolarità che agisce la propria potenza espressiva, che non pianifica alcuna comunicazione e costituisce immagini eidetiche di tutto quanto non è forse mai nemmeno esistito.[...]