Corrado Sobrero, Nevica sull'Isola di Baro

01-10-2006

Lontano dalle schiene piegate sulla scala del futuro, di Serena Mauro

“Cosa vedi Lucia?” “Vedo cinque pezzi di legno conficcati nella terra”. “Io invece vedo un pezzo di terra seminato di speranza, vedo i primi cinque gradini della scala che porterà la mia gente a vivere meglio, vedo il nostro futuro… il futuro della nostra terra… Un futuro diverso e migliore, lontano dallo zucchero, dalle schiene piegate sotto il sole, dal sudore su mille facce scure e deformate dalla fatica”. È questa la storia racchiusa nel romanzo Nevica sull’Isola di Baro. La storia di chi ha forza e coraggio per credere nelle proprie idee, nei propri sogni. E deve sfidare tutti coloro i quali credono che il cambiamento sia “sempre fonte di disordine, di odio”, che “il cambiamento non porta mai a nulla di buono”, che “la diversità è pericolosa, favorisce nuove idee, novità, equilibri millenari spezzati in un attimo… La diversità genera idee e le idee non possono permettersele tutti”.
È la storia di un’isola, metafora di chi sopravvive e non vive, di chi si circonda del mare, affinché gli altri restino a debita distanza. È la storia di una comunità, che vive su un’isola, o forse sopravvive, senza colori, senza sapori, senza gioie. È un romanzo corale, quello scritto da Corrado Sobrero, intorno a un dialogo fra chi intraprende una strada nuova e chi invece tenta in ogni modo di fermarlo.
“Non aver paura della paura. chi ha paura non vive, ma si limita a sopravvivere… chi non ha paura muore di noia… penso che sia così… la paura dà un peso all’anima, il peso che consente di lasciare un’impronta, una traccia… di cambiare qualcosa… la paura è il motore”, spiega Hugo a sua moglie. E così inizia la sua avventura, la sua sfida, il suo sogno, quello di coltivare una pianta nuova nell’isola di Baro, dove da sempre è cresciuta solo la canna da zucchero. E quando nascono gialle banane, Hugo e la sua famiglia devono scontrarsi con il muro che gli ergono intorno gli abitanti di Baro, capeggiati dall’Arcidiacono.
Nevica sull’Isola di Baro è un libro che affascina e coinvolge, storia di un uomo e della sua isola, metafora dell’esistenza, che fa riflettere e pensare. Alla paura che troppo spesso impedisce di andare avanti, all’ostilità nei confronti di ciò che non si conosce. “Ho capito anche che ho capito tutto questo confrontandomi con chi è diverso da me, con altre isole, altre idee, altri valori…” afferma un personaggio del libro. Nessun uomo è un’isola, scriveva Donne, e Corrado Sobrero, nel suo romanzo, sembra continuare il discorso, a dimostrare quanto sia importante e affascinante andare incontro al nuovo, scoprire ciò che ancora non si conosce, interrogare la vita: “Da poco Baro era forse un po’ meno isola e i suoi abitanti un po’ meno isolati, nei loro pensieri, nelle loro paure, nelle emozioni e nelle loro vicende”.
Accanto a questa delicata eppure intensa riflessione sulla vita, le vicende scorrono veloci. La storia della battaglia di Hugo si intreccia con la morte di un uomo e l’arrivo, che è forse un ritorno, di un forestiero, a colorare di un po’ di giallo, colore del peccato, la storia di Baro. Salvo poi, alla fine, lasciarla ricoprire del bianco della neve. Una neve inaspettata, che torna sulle sponde dell’isola dopo tre secoli, una neve che ha del miracoloso. Che ancora una volta mescola fatti e fantasia, in un calibrato equilibrio che accompagna il lettore pagina dopo pagina. Perché Nevica sull’Isola di Baro, in effetti, è una favola, che riesce più volte a far sorridere, con le tante storie singolari e divertenti che colorano la storia principale. Così i personaggi di Baro, don Paco, Conchita, Tomas Faccia di Cuoio, Hugo e tutti gli altri guardano la neve scendere sulla loro isola: “Da poco a Baro era nata la curiosità, la voglia di scoprire e di sapere, la voglia del diverso, non più temuto e scacciato ma anzi voluto e cercato”.