Giuseppe Bonaviri, Autobiografia in do minore

04-02-2007

Io, Bonaviri e una vita in do minore, di Diego Zandel

Scrittore di rara inventività linguistica, espressione, con i suoi romanzi, da quello dell’esordio Il sarto della Stradalunga a Il fiume di pietra a Notti sull’altura ed altri, di un mondo magico che rappresenta la Sicilia ferma in una sua atemporalità, Giuseppe Bonaviri ha scelto di imboccare la strada del racconto piano, seppur vivacizzato da una serie interminabile di personaggi, della sua vita e di quella della sua famiglia, in un’Autobiografia in do minore dalla quale sarà impossibile prescindere per gli studiosi della sua opera.
C’è in questo libro, che ha per sottotitolo la significativa dizione di Racconto di scoordinata sopravvivenza, il filo rosso che lega il rovescio realistico, esistenziale, di quei mondi e di quei personaggi che hanno dato vita alle sue opere. C’è il paese di Mineo dove è nato, in Sicilia, ci sono i suoi genitori, i suoi nonni materni e paterni, i suoi zii, cugini, amici, così come Giuseppe Bonaviri li ricorda, fisicamente, nella psicologia, negli affari privati e non, con tanti fatti e fatterelli curiosi dei quali, molti, ci dà la chiave che lo scrittore ha usato per tradurli nei suoi libri.
A cominciare dal padre, sarto, che spiega quel suo primo titolo, uscito nei Gettoni di Vittorini nel 1954, Il sarto di stradalunga, appunto, per finire con i personaggi di oggi, che magari spiegano il rifiuto di pubblicare un suo libro pur bello, ma che non è commerciale. «È una ferita profonda, per me» annota lo scrittore. E che, significativamente, traccia il grande cambiamento avvenuto nel mondo in tutti i suoi 82 anni di vita.
L’editoria è solo uno solo degli aspetti, il minore, in questa testimonianza che praticamente cavalca il ’900. Sullo sfondo, innanzitutto, c’è il mondo paesano, quello più strettamente poetico del maestro, con tutti gli aspetti d’epoca, i costumi, le usanze, i rapporti tra le persone, il maschilismo dominante, le migrazioni che fanno capire come un nucleo famigliare può, col tempo, disperdersi nel mondo.
Se altri parenti prendevano la strada dell’America, Giuseppe Bonaviri, figlio di un sarto, nipote di macellai, avrebbe studiato da medico e si sarebbe trovato a vincere un concorso che lo avrebbe portato da Frosinone, nel Lazio, per sempre, cardiologo del locale ospedale, dopo gli anni di studio a Catania, alloggiante in diverse pensioni, delle quali ci trasmette ricordi vivissimi. Alcuni, come quello della tenutaria cui piaceva fare l’amore e tradiva volentieri il marito, calzolaio, con i giovani pensionanti.
Ma ce ne stanno altri di aneddoti, tutti raccontati sul filo di una memoria che privilegia straordinari particolari. La vena del medico poi si sente ovunque. Di tutti i personaggi ricordati spiega i motivi della morte, e mica come potrebbe farlo uno scrittore qualsiasi, no, per il cardiologo Bonaviri si muore per una «reticoloendoteliomatosi» oppure per una «encefalopatia multinfartuale arteriosclerotica», cosicché si esce dalla banalità degli ictus o degli infarti. Altrettanto vale per gli aspetti esterni dei personaggi, l’altezza, il peso, ma anche le misure della pressione arteriosa. Sentite questa: «Mia nonna, ricordo avendola vista verso i 60 anni, soffriva di ipertensione arteriosa, come poi mio padre, mia sorella Maria, Enza e un poco anch’io (valori massimi attorno, spesso, a 160-90-95… per decenni il mio chiodo fisso è stata la pressione arteriosa con centinaia di controlli con lo sfigmomanometro)».
Particolari che possono sembrare eccessivi, ma non lo sono perché, nel grande mosaico famigliare e generazionale che Bonaviri ha tessuto, offrono aspetti che fanno parte della vita di tutti noi, ai quali diamo retta, costituiscono piccole o grandi preoccupazioni, ma che ci sembrerebbe superfluo inserire in una autobiografia. Quante verità invece fa trapelare Bonaviri. Proprio attraverso questi dettagli medici, che riguardano anche la sua persona, apprendiamo gli anni di insonnia all’ospedale, le sue crisi di panico, da qui poi allargando lo sguardo a ciò che succede intorno, nelle immediate vicinanze, con moglie, figli e, adesso, nipoti.
Da sottolineare che Autobiografia in do minore ha due piani di lettura. C’è la biografia stessa e c’è il commento sul testo, tipo «Basta, fa caldo, non mi sento più di scrivere!!! Così è!». Oppure: «20 gennaio 2002. Rileggere! Sto rileggendo, per ultimarlo. Il 6 giugno 2004, compleanno di Raffaella, la bella. Ho segreta angoscia per il viaggio che a fine settimana, con Lina e Gianluigi, debbo fare a Parigi» e così via, una presa in diretta che al Bonaviri dei ricordi affianca il Bonaviri di oggi.
Nella sua postfazione, Anna Grazia D’Oria ricorda come questo libro, sia stato faticoso per l’autore. «Ne è prova il lungo tempo di gestazione e di fattura. Rappresenta infatti la storia delle storie, le proprie origini, una fonte che ha dato e dà vita a tutti gli altri scritti». Una serie di fotografie d’epoca, del tutto personali, completano il testo.