Giuseppe Cassieri, Scommesse

20-10-2006

Mettersi in gioco è l'ordinario gioco della felicità, di Michele Trecca

Qual è la scommessa del nuovo volume di racconti del pugliese Giuseppe Cassieri, originario di Rodi Garganico ma romano d’adozione, narratore e saggista di lungo corso e prestigiosa firma delle pagine culturali del nostro giornale? Scommesse è il titolo (metonimico) del libro, mutuato dal primo dei suoi tredici testi, nettamente il più corposo (tutti gli altri sono di limitata ampiezza).
Giuseppe Cassieri, però, è scrittore raffinato e complesso: le sue parole si prestano sempre a più livelli di lettura. Il titolo, dunque, sicuramente sottintende qualcos’altro, allude in modo sottile a una sfida dell’autore con la propria scrittura. Quale?
La storia della narrazione d’apertura è molto semplice. Il dott. Gabrieli, di origini molisane, dopo una soddisfacente carriera in banca che lo ha portato ad essere vicedirettore della filiale di piazza Stellini alla periferia di Trastevere, sfruttando alcuni benefici di legge, va in pensione anticipata. Doveva essere la libertà, il riposo; cominciano, invece, i suoi guai: una senilità devastante e precoce. Lo spazio infinito del tempo da coltivare con i propri desideri e interessi si rivela ostile come un deserto. Tutto precipita, anche la salute.
Dopo una rovinosa caduta in bagno, lo psicologo impostogli dai nipoti, vista la refrattarietà ad ogni cura, come ultima risorsa terapeutica, gli consiglia di tenere un diario e Gabrieli, mancino, alla maniera di Zeno Cosini, comincia a scrivere con l’inseparabile Staedtler ripercorrendo la propria vita. Veniamo così a sapere delle scommesse e della loro rivitalizzante forza: «scommettere in qualcosa, in qualcuno, significa lottare, stuzzicare l’istinto, rimettere in moto la tavola pitagorica e scuotere le palle impallinate».
Con un ufficiale di finanza a riposo e un ex direttore delle poste, Gabrieli, infatti, negli anni vuoti del dopo lavoro, si lancia nel gioco infantile e burlesco di fare una corsa su un mezzo pubblico, da un capolinea all’altro, senza biglietto rischiando, come in una roulette russa, d’incappare nel controllore e nella conseguente «figuraccia».
Chi la scampa vince. Comincia così; poi, però, per Gabrieli scommettere diventa un’ossessione ed egli, quindi, prende a farlo da solo in un’infinità di modi, sempre più convinto che «l’assenza di una scommessa in vita aggrava la mestizia della tomba». Verità che, detta con Céline, suonerebbe così: «La maggior parte della gente non muore che all’ultimo momento; altri cominciano e si prendono vent’anni d’anticipo e qualche volta anche di più. Sono gli infelici della terra» (da Viaggio al termine della notte). La felicità è, dunque, il gioco; è mettersi in gioco.
Nella semplicità d’un racconto «leggero» di ricostruzione biografica di una vita qualunque, per virtù di stile e cioè con assoluta naturalezza, Cassieri, quindi, si diverte con citazioni plurime (anche cinematografiche, ci par di cogliere, da Amici miei a Il cacciatore) svolgendo, in buona sostanza, una pungente satira del nostro tempo e del suo vuoto di valori. L’understatement (o abbassamento di tono) ironico di Scommesse nasconde, infatti, fra le righe un forte appello alle coscienze a vincere la avidità di giorni che, senza il coraggio del rischio, sono condannati a stagnare nella mediocrità.
Scommesse è come il batterista, dell’omonimo (breve) racconto: suona in un’orchestrina che fa avanspettacolo; invece di Girolamo, ballerine e capocomico lo chiamano Momo o Momò; sul palco, nella gabbia dei musicanti, si muove con rumorosità, «istrionismo ed animalismo sensuale».
In privato, invece, Girolamo «è compìto come un milord… tace come un certosino, arrossisce se allude al suo mestiere». Tutta un’altra persona. E quando il narratore si rivolge con insistenza alla moglie per cercare nei suoi occhi una risposta, questa equivoca e si stringe al marito. Anche Scommesse ha momenti chiassosi di forte tipicità meridionale, letteraria e geografica («l’ingreppiata» o scorpacciata agonistica di fichi d’India del segretario comunale Almerindo Pacilio a Ripa di Macchia; «L’uomo dal proverbio in bocca»; il rito del solstizio nell’abbazia di San Leonardo di Siponto…), ma la scommessa di Giuseppe Cassieri è elevare tutto a un delicato, sofferto e colto disincanto.
In un modo o nell’altro ci riesce. La scommessa era questa ed è vinta.