Giuseppe Schiavone, Notti ed albe

15-07-2008

Le stagioni dell'io, di Valeria Nicoletti

Luna e sole si danno il cambio in questo vibrante inseguirsi di Notti ed albe, raccolta di poesie di Giuseppe Schiavone, docente universitario, storico e filosofo, che infila una dietro l’altra queste liriche, dalla forte componente autobiografica, tratteggiando un quadro a metà tra il pagano, il sacro e il misterico dove, come scrive Carlo Alberto Augieri nell’introduzione, si manifesta un pensiero che non si traveste di linguaggio, ma diventa verbale mentre “accade”, mentre prende forma insieme alla scrittura.
Schiavone si rivolge questuante a un muto Signore, della cui Parola si fa incostante cercatore, quando “gonfio di tristezza ed angoscia ferito nel Getsemani” si appresta a scrivere una dolorosa Cronaca della separazione; tuttavia sono i doni degli dei, immagini di muse e feste bacchiche, che insegue, nella triade alchemica che racchiude la sua esperienza interiore. Nigredo, opera al nero, dissoluzione della materia, “stato di macerazione interiore”, tetra sfilata di rassegnati Notturni, scene di un infausto abbandono di lei che “sfolgorante come demone in furia” è oggi nemica sleale, carnefice che non finisce la sua vittima, lasciandola a stordirsi nel nulla, “finché luminosa creatura ricomincia la storia dell’uomo con vagiti di pianto”. È un ritorno all’innocenza, allora, quello che si compie, un passaggio all’Albedo, opera al bianco, secondo stadio alchemico, sublimazione della materia, “alba della rinascita”, che rende limpida la possibilità, “cantando la speranza che tutto accada nel cammino dell’eterno divenire”, prima dell’esplosione, dell’opera al rosso, Rubedo, “meta dello spirito”, anelata destinazione dell’anima, omaggiata con un singolo inno Ottimo è l’auspicio, dichiarazione d’intenti di questo Secondo Adamo, che non teme la morte e spiana la strada alle stagioni dell’io. Ha una fine rosso scarlatto, quindi, questa parabola esistenziale che, pur perduta nelle oscurità di uno spirito inquieto e lacerata dai desolanti notturni dell’essere, non manca di legarsi alla terra, di radicarsi indissolubilmente, e forse inevitabilmente, al territorio salentino, che fa capolino tra un verso e l’altro.