Francesco Garramone

Francesco Garramone è nato a Banzi (Potenza), dove vive. Insegna Lettere nei licei.
La sua poesia, seocndo Cesare Segre, è «un unicum nel panorama poetico attuale».

Ha scritto Antonio La Penna nel dicembre 2015: 

Dagli Artifizzi agli Artifici
Nel panorama, affollato, dei poeti italiani di oggi, il lucano Francesco Garramone è il più anomalo, il più bizzarro, il più originale. Quale poeta scrive oggi in rima? Garramone, invece, non solo scrive in rima, ma la usa in abbondanza, come un fiume in piena (uno dei suoi capitoli satirici è un elogio della rima): per la satira, infatti, usa le terzine, intendo quelle dantesche (un capitolo riguarda l'Alighieri). Dunque una trama ferrea; ma, per un meraviglioso paradosso, attraverso questa trama ferrea scorre una fantasia bizzarra, estrosa, sfrenata.
Garramone è nato, ha vissuto e vive nella terra che vide l'infanzia di Orazio; ma del sermo pacato, elegante, sorridente del poeta di Venosa egli è lontano milla miglia; i suoi auctores sono i poeti satirici italiani, dal Berni e dall'Ariosto al Redi; proprio col poeta del ditirambo a Bacco mi pare più congeniale.
Chi nei capitoli in terza rima cercasse una meditazione morale, dei precetti per orientarsi nella vita, rimarrebbe deluso; i capitoli migliori sono dei bellissimi arazzi comici, nei quali si inseguono, con ritmo indiavolato, immagini strane, grottesche. Prendiamo, per es., l'arazzo del Tempo: si incomincia dalla scena mattutina del gallo che dà la sveglia e dalla massaia che "scalda la sua teglia"; pii il Tempo è una pietanza ("Ognun se la cucina, se ha sale"); di immagine in immagine si arriva al viaggiatore che sulla nave guarda la clessidra. C'è un arazzo delle stagioni, in cui l'Estate occupa lo spazio più ampio, popolata da Cicale e Rane, da Rape e Zucche. L'uomo viveva a contatto con una natura sovrabbondante: ne prendeva tutto quello che vuole, senza fatica. L'età dell'oro,anteriore alla Scienza che ha rovinato l'umanità, è un tema ricorrente nelle satire del poeta lucano; altrove è una specie di paese di cuccagna, abbondante di carni semplici e gustose. Con la stessa fantasia comica è tessuto l'elogio delle campagne, dove Garramone sogna una vita solitaria e libera da fastidi; la vita in campagna è elogiata in contrasto con le vacanze sulle spiagge marine. La vita sulla spiaggia è evocata con singolare vis comica:
"Al mar son tutte cose mézze e stracche:
Afa e noia, schiamazzi strilli e lagni,
E il puzzo sozzo delle gran risacche..."

Segue una serie di scene. Un altro arazzo riguarda l'amore; più della varietà qui opera il contrasto: contrasto nei sentimenti e nei giudizi:

" -Più mi allontani e più mi fai cenno:
Mi tenti. -E più mi perdi e più mi tieni:
Più mi gabbàni e più mi togli il senno.
...
...
...
Amore, e tu mi lasci e m'incateni."

Mi sono limitato a pochissimi esempi; i tre volumetti di Artifizzi sono una straordinaria commedia umana.

Dopo la satira Orazio passò alla lirica, cambiando nettamente metro e stile: ho pensato a questo passaggio, quando intrapresi, dopo la lettura degli Artifizzi quella degli Artifici; in realtà il distacco è più profondo, perchè la lirica di Orazio è pur sempre legata alla satira dalla ricerca etica; chi legge il volumetto degli Artifici si sente molto lontano dalla satira estrosa della poesia precedente dello stesso autore. Mi pare una rottura completa; forse lettori più competenti di me sapranno trovare i fili di continuità. Negli Artifici Garramone si è riaccostato alla poesia contemporanea: via la rete delle rime; metro libero, di una fluida e fine musicalità; espressione di sentimenti e stati d'animo di una grande varietà. Ci sono, per le poesie collocate all'inizio del volumetto di Artifici, in cui il quadro e lo stato d'animo si interpenetrano con profondità ammirevole. Un'ora feconda di poesia è, per Garramone, il meriggio:
"Dal rosato meriggio filtra calma
La luce tra la polvere sospesa..."

Le vie del borgo sono deserte; la calma si muta in un paesaggio di morte: "Meglio che nella morte qui si giace"; il borgo diventa un silenzioso angolo di morte. Non è questo il sole caro in cui affiora, nella poesia di Garramone, il silenzio desolato dei nostri borghi del sud. Il suo meriggio si colloca al polo opposto del meriggio panico della tradizione letteraria.
Se questo filone è, se non erro, il più incisivo nella lirica compresa negli Artifici, prevale, tuttavia, una poesia più leggera; anzi il volumetto è ricco di pàignia in cui vediamo il borgo popolarsi di ragazze liete che passeggiano, fittamente conversando. Ci sono paesaggi, per es. Apparizione della luna, che scorrono come una fuga musicale di tocchi lievi, come le musiche di Debussy.
Ma più presenti dei temi notturni sono i temi solari, in particolare i meriggi:

"Splende il Meriggio limpido sui campi
Come la pupilla di un dio che vede."

Splende il Meriggio
Solitario e astrale."

Un posto d'onore tiene, infine, il gatto: quadri molteplici, di una varietà ricchissima, inesauribile, per lo più festosi come certe nugae di Catullo. Non ci sono solo espressioni di affetto, poichè il gatto è un dio. "E' un dio padrone"; "io sono un dio legato al fuoco"; " il gatto e il fuoco / o l'anima e il suo dio"; ma, nonostante l'apoteosi, il gatto resta " il custode gentile / delle vuote stanze".
Data la ricchezza e la varietà di questa lirica, le mie riflessioni ne danno solo una pallida idea. L'opera di Garramone è stata giudicata con limpidezza e finezza da critici esperti e autorevoli; ma si sente il bisogno di un'analisi ampia, approfondita, sistematica. Una volta tanto, speriamo nei giovani.



 

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