Artifizzi III
PRIMI VERSI
Sonetto della fama
Fama volat. Maccaronee
Io son sì pien di me che ne trabocco:
E pur cammino e pur non tocco terra,
Mi danno d’importanza e ognun m’afferra,
Io son Poeta ormai, non un allocco:
Mi sto come una pasqua e mi sbalocco:
Ognun mi riverisce infino a terra,
E volo in alto, e non mi fan più guerra,
Che prima ognun dicea, ecco lo sciocco:
Io son Poeta ormai, e non un brocco:
Ognun m’ascolta e inchina e mi fa segno:
Mi sembr’una campana col rintocco:
Son visto qua e là com’un berlocco:
Mi dan credito e fanmi fededegno,
Sto come un dio, un cero, un albicocco,
E quasi non mi tocco:
– La fama che m’è data onor mi tegno:
E i denari, pochi, tengo a pegno.
Ultime dalla fortuna
Or dunque e perocché io gioco spesso,
E scherzo con Fortuna, anzi la sfido,
E dei suoi mille tiri me la rido,
E a Iddio per la rabbia mi confesso:
Di questa nuova frasca adesso adesso,
Che io con lei mi stia e le sorrido,
Delle sue spine, me ne faccio nido,
Come l’Aguglia su picco inaccesso:
Amo il tristo cruccio e mi sto con esso,
Distante dal suo fango e dal suo scherno:
Ma suoi Arcani miro genuflesso:
Già domammo cani e cristiani, e adesso
Idioti: – E se s’affollino i suoi crocchi,
Cura n’ho quanta Iddio all’Inferno istesso:
Da Lei mai non m’acquatto se m’adocchi:
Ma pur miro di tra il suo Fango etterno,
L’Idea che mi brilla avanti agli occhi:
Ché io, se pur mi stizzo con me stesso,
Tra le sue cose pràtico e discerno,
Se la rivolto e imbroglio bene spesso:
Se trovo buona creta, faccio terno:
Son Zeusi Apelle e Fidia, e a far gli sciocchi
Son io anche miglior del Padreterno.