Butterfly
L’amore è l’unica cosa vera dell’esistenza. Anche quando sembra finito, esso continua a vivere nell’aria che respiriamo”: questa massima che può essere il filo conduttore del romanzo, si adatta a tutti e tre gli atti con tre prologhi e tre finali di una storia d’amore tra l’Italia e il Giappone.
Lodovico Acerbis è nato nel Bergamasco, ad Albino. Si è laureato a Milano, vive a Bergamo. Viaggia per passione e per motivi aziendali nel mondo come ambasciatore del miglior design made in Italy di prodotti di cui spesso è anche designer.
Del 2006 è il suo primo romanzo, Pierino Sgiufa, il tornitore, Ferrari Editrice.
Ecco, guardate.
Un’ombra scura si è abbattuta sugli abitanti del villaggio di Bukeyashiki. Seiko, una delicata fanciulla, era fiorita nella primavera di alcuni anni prima in quel villaggio, come tante altre bambine sbocciavano ogni anno insieme ai fiori. Ora di lei non si hanno più notizie. Si mormora che sia impazzita dal dolore, o addirittura che, dopo essere stata rinnegata, il padre abbia ordinato agli uomini vestiti di nero di drogarla al punto da farle perdere il ben dell’intelletto. Nemmeno dello straniero si è più saputo nulla, dopo una fugace apparizione in cerca di notizie. E mentre il malinconico pizzicare dello shamisen accompagna il furioso sibilo del vento, tutto si è dissolto nel nulla, come se quell’ombra scura sul villaggio fosse in realtà la morte stessa venuta a cancellare ogni segno di vita in quel malvagio paese di Bukeyashiki, a cancellare persino la memoria, giacché gli abitanti vivevano sotto il terrore degli uomini vestiti di nero, e mai si sarebbero lasciati sfuggire una parola che rivelasse il passaggio dello straniero oppure qualche notizia sulla sventurata famiglia Ishiwara.
Ecco, udite l’inutile incessante sbattere al vento dei vivaci kimono appesi alle corde di iuta. Inebriati dal sake, tornarono a casa che era quasi mezzanotte, le lanterne del tempio di Yasaka ormai spente. Quella bianca e rotonda, pendente dalla gronda della loro abitazione, era ancora accesa e li stava attendendo. Nella camera, Giovanni cercò Seiko. La cercò sotto dodici strati di vesti leggere, uno, due, tre… Ai, amore mio, Ai, lei si sciolse ad ogni strato come la neve al sole, e ad ogni strato lo chiamava, Ai, amore mio, Ai, sei, sette, otto… ogni volta più emozionata, Ai, amore mio, Ai, e lo aiutava anche, giunta allo stremo del desiderio. Giovanni Carrara, un tempo detto ol Bolèta, continuò con determinazione orobica… ecco quello rosa, poi lo strato color glicine, e quello ciclamino, mentre sospirati e dolci sussurri lambivano le sue orecchie, Ai, amore mio, Ai! Ad un certo punto gli venne un pensiero: “Cazzo, ma quanti sono, ’sti strati? Tanti, ma proprio tanti, una vera goduria svolgerli tutti, gustandoli piano piano come le pagine di un prezioso libro. Una faccenda da far mandar via di testa un pover uomo, un pover uomo come me!”
Eppoi, da ultimo, intravide il dodicesimo.
Rosso.
Quello dell’amore eterno.