Cavalluzzi-Rubini-Starnone, Il cattivo soggetto

13-03-2010
Tra romanzo e sceneggiatura, di Valeria Blanco 
 
Un libro a metà tra romanzo e sceneggiatura: è Il cattivo soggetto, scritto a sei mani dall’attore e regista pugliese Sergio Rubini, dallo scrittore Domenico Starnone e dalla sceneggiatrice Carla Cavalluzzi. La presentazione di oggi, alle 18:30 al Politeama Greco di Lecce, alla presenza degli autori, è l’occasione per allargare il discorso al rapporto tra cinema e letteratura, alla loro attrazione fatale per il lato oscuro delle cose e al ruolo del Meridione.
Oltre che autore del libro, Sergio Rubini è tra le voci più autorevoli del cinema italiano in cui, sin dal primo film da regista, La stazione, ha dato voce a un Sud nostalgico e contraddittorio, non tralasciando di esplorare il lato oscuro dell’animo umano soprattutto negli ultimi lavori.
Rubini, partiamo dal titolo e dall’evidente gioco di parole. Ce ne spiega il significato?
«Il libro contiene quello che in gergo cinematografico si chiama un trattamento, cioè una cosa che sta a metà strada tra il soggetto di un film e la sceneggiatura. Infatti, era il progetto per un film che poi non si è più fatto. Il “cattivo soggetto” è tale perché non è riuscito a diventare un film».
Ma fuori dal gergo cinematografico, il cattivo soggetto è una persona cattiva…
«Nel nostro caso il cattivo soggetto è il protagonista del libro, Mimì Festa, un gangster che trova riparo in una canonica dove incontra un prete del Nord in crisi. Il cuore del racconto è nel loro rapporto».
Come nasce l’idea?
«A Mellito, una contrada del mio paese, Grumo Appula, c’è una chiesetta e una scuola per i figli dei pastori. Circola la voce che lì si sia fermato il boss Bernardo Provenzano durante la latitanza».
Sta dicendo che il protagonista è l’alter ego di Provezano?
«Mimì Festa è un gangster sui generis, un uomo inquieto, arrogante ma anche fragile. Con una famiglia squinternata e un figlio che non rispetta la sua autorità. Provenzano è stato solo lo spunto per la storia».
Perché vale la pena di leggerlo?
«Perché è una lettura godibile, ma anche per mettere il naso in una fase importante della preparazione di un film».
Che immagini del meridione viene fuori dalla lettura?
«È un meridione della memoria, perché nessuno di noi autori vive più al Sud. È un Sud pieno di contraddizioni, attuale, multietnico, contemporaneo e variegato, in cui ci sono le cicale che cantano, le vecchiette e gli extracomunitari che raccolgono i pomodori».
Il cinema e l’arte in genere sono attratti dal male…
«L’arte è ricerca della perfezione: nel buono si è già vicini alla perfezione e c’è poco da lavorare, mentre il cattivo è più ricco di sfaccettature. E poi, c’è una parte oscura in ognuno di noi: tirarla fuori è difficile, vederla su uno schermo tranquillizza».
Il “cattivo soggetto” è un libro che nasce da un film mancato. Un’inversione rispetto alla tendenza opposta di trasformare i libri in film?
«Sul set Intervista Federico Fellini mi insegnò che i grandi libri non possono diventare film. Lui non realizzò mai un film tratto da America di Kafka e mi spiegò che il cinema si può rivolgere solo alla letteratura imperfetta, cercando di perfezionarla sullo schermo. Un grande capolavoro non può essere perfezionato».