Quel labirinto in cui vive la scuola italiana, di Gerardo Trisolino
Cosa può aver indotto Fabio Scrimitore a intitolare Achille e la tartaruga il suo ultimo libro sulla scuola italiana (Manni, pp. 198, euro 18)? Può aver voluto ribadire elegantemente (e filosoficamente) che la scuola non riuscirà mai a competere con una società in continua evoluzione? Oppure, riferendosi a uno dei quattro argomenti paradossali utilizzati da Zenone d’Elea contro il movimento, intende negare l’esistenza stessa del movimento sia della scuola che della società? In fondo in fondo, la scoperta del movimento apparente è stata una delle prime solide conquiste della scienza moderna (Galilei docet).
Nella metafora scelta da Scrimitore, Achille pie’ veloce non rappresenta, come invece si vorrebbe, la società che vorticosamente brucia senza tregua le tappe precedentemente raggiunte. E la tartaruga non allude alla scuola, che come un enorme pachiderma si muove con la stessa lentezza del simpatico quadrupede corazzato. La similitudine è stata, non a torto, capovolta, con lo scopo di lasciare la questione alla sua natura problematica. Perché, che Achille (la scuola) non riesca mai a raggiungere la tartaruga (la società) è un mero sofisma, è un paradosso come quello di Zenone. Basterebbe pensare che la stessa evoluzione sociale e tecnologica non sarebbe concepibile senza il contributo della scuola, cioè dello studio, della cultura e della ricerca che ne sono alla base e ne costituiscono un presupposto inalienabile.
Sorge il dubbio (conoscendo la frizzante e briosa ironia dell’autore) che Scrimitore voglia invece dire che Achille e la tartaruga, lungi dal rappresentare in modo antinomico il binomio scuola-società (come il sottotitolo del libro sottolinea) convivano nella scuola stessa, ne rappresentino in realtà la sua natura duale: luogo del far sapere e del saper fare.
A meno che l’autore, scendendo dal piedistallo dei ragionamenti sui massimi sistemi verso la più prosaica cronaca quotidiana della nostra scuola, non voglia ironicamente dirci che il diluvio di riforme e controriforme dell’ultimo decennio (da Berlinguer alla Moratti, da Fioroni alla Gelmini) ha avvitato la scuola su stessa, l’ha inchiodata, l’ha fatta implodere, le ha impresso un movimento più apparente che reale. Con un risultato devastante, però: ha prodotto disorientamento, sfiducia e incertezze a non finire in tutti i suoi attori primari: dirigenti, direttori, docenti, studenti e famiglie.
In qualunque modo si voglia interpretare il titolo del suo libro (che viene dopo “Le scuole invisibili” e “Oltre le scuole invisibili”), Scrimitore conferma le sue eccellenti doti di esegeta della farraginosa legislazione scolastica. E lo dimostra sbrogliando i casi più paradossali (appunto) ricorrendo ad un procedimento argomentativo che lambisce la filosofia del diritto e sdrammatizzando le situazioni con quella bonaria ironia che ancora oggi ci fa amare l’Ariosto.
Utilizzando similitudini che farebbero impallidire il Marino e il Frugoni (il riferimento vada colto nel senso più benevolo possibile), l’eclettico Scrimitore mostra di intendere la scrittura come una sorta di divertissement non alieno da influssi calviniani. È questa la ragione fondamentale per cui le sue consulenze giuridiche si trasformano in gustosi e piacevoli testi letterari, in quadri aneddotici tra il semiserio e il grottesco, tra il comico e il drammatico.
Ma da autentico e valente umanista, l’autore sa bene che dietro ogni situazione rappresentata c’è sempre un cuore che palpita, un essere umano che spera nella giustizia terrena, un Teseo alla ricerca del filo d’Arianna (senza volerlo, stiamo già suggerendo un possibile titolo di un atteso suo prossimo libro).
D’altronde, la normativa scolastica è tanto labirintica da rendere indispensabile il ricorso a esegeti di grande esperienza e cultura, che alla professione hanno immolato la loro vita negli uffici degli ex provveditorati agli studi. Com’è, appunto, il caso davvero esemplare di Fabio Scrimitore.