Giuseppe Minonne, Una vita allo specchio

12-11-2010

Storia di Dalila, donna bellissima e sola, di Claudia Presicce

È la storia di una solitudine, di un silenzio interiore generato da un rumore assordante (un ricordo infantile non elaborato), una solitudine interrotta da piccoli incontri, interessati e intermittenti, che sembrano derivare da uno schema automatico. Una vita allo specchio di Giuseppe Minonne racconta le vicende di Dalila, una modella bellissima premiata e amata per la sua perfezione fisica, ma spesso anche vittima della smania di piacere e di uno specchio, strumento necessario per darle quel calore e quella sicurezza che le mancano.
Risulta subito singolare nella lettura di questo romanzo lo scarto tra le vicende narrate, spesso al limite dell’autodistruzione, e il linguaggio, pulito, letterario, elegante utilizzato dall’autore. Come se la sua penna proprio non riuscisse a farsi coinvolgere dalla situazione di vita disperata di questa creatura che si muove, in maniera uguale, con eleganza e dissipatezza, buio interiore e grazia fisica di una ninfa.
Questo scarto linguistico fa tuttavia un regalo ai personaggi del libro, perché ammanta le loro figure di uno spessore che altrimenti non avrebbero. È come se una luce di profondità, legata alle parole auliche e ricercate, finisse per illuminare anche la più nera bisca nella quale Dalila finisce per perdersi.
E la stessa aurea argentea circonda la sessualità fugace e bulimica della donna, tutt’altro che lucida, ma appannata e desolata, generata dal ricordo di un adulterio della madre che i suoi occhi di bambina non hanno mai ben decodificato.
Su questo punto il romanzo di Minonne, autore che svela la sua formazione umanistica nella pienezza della visione della vita che traspare dai suoi racconti, presenta un’altra singolarità. È il calarsi dello scrittore nei panni di una donna – creatura speciale anche per le sue caratteristiche fisiche – e per di più molto giovane, con esigenze quindi legate alla sua età.
Minonne segue la storia e l’evoluzione di Dalila, la fa crescere, le dà un supporto morale, ma fa tutto questo mantenendo il suo sguardo maschile (essendo il libro non in prima persona, ma in terza) e quindi senza azzardare l’operazione che troppo spesso gli uomini scrittori fanno in maniera raffazzonata, se non risibile. È una chiave giusta, efficace, che non elude peraltro una vicinanza imprevedibile con le dinamiche del mondo femminile, anzi.
Il linguaggio di Minonne infatti (qui come in altri suoi precedenti lavori) si porta da sé dietro un mondo, un’etica e un’educazione, una certezza nello scambio uomo-donna ormai introvabile. Ecco quindi che quel rispetto antico per la dignità femminile, la necessità del riscatto profondo di questa Eva (come lui spesso la definisce in relazione ai suoi peccati) sanno di racconto al femminile, restituiscono un matrimonio credibile tra scrittura e protagonista. E in questo senso proprio negli incontri passionali di Dalila (che l’autore tratta con grande pudore) si capisce che per lei si tratta sempre e comunque di uno scambio di anime prima che di corpi, un gioco di seduzione necessario molto prima che un piacere fisico, un’altalena di potere in cui sembra che lei stia facendo un regalo generosissimo, ma in realtà non è maggiore della soddisfazione che riceve.
Si riconosce in Dalila un quid profondamente femminile che l’autore ha centrato: la psiche che va sempre molto oltre il corpo (anche quando le apparenze racconterebbero altro), cosa che, con le dovute eccezioni, spesso agli uomini sfugge.