Emilia Santoro, La sparizione

20-04-2007
Una profondità onesta, di Andrea Villani

Ogni tanto, in questo goffo ambiente letterario, si hanno buone sorprese. Persino in questi ultimi tempi dove, nella collana del Corriere: “Corti di carta” trionfano tra i Grandi Autori i nomi di Fabio Volo, Federico Moccia e Giorgio Faletti. Brave persone tutte e tre, ci s’intenda, ma si era abituati ad altro e, magari, nelle collane dei Grandi Autori venivano fuori un tempo le personalità letterarie di Gadda, di Calvino o, chissà magari, di Moravia… Si intitola “La Sparizione” il romanzo di Emilia Santoro di Marano di Napoli. Edito dai tipi, salentini, di Manni Editori. Si tratta di un piccolo libro. Piccolo sì, circa 70 pagine, ma per nulla breve, in quanto la “brevità” in letteratura, a mio avviso, non la si misura certo attraverso la lunghezza ma bensì la larghezza. E il racconto di Emilia Santoro, vi assicuro, è molto largo. Il signor Alfonsino ha deciso di sparire, di restringersi, di abbassarsi, di accartocciarsi implodendo lento in se stesso. Ritrovandosi in quell’apparente nulla che è lo stesso gesto dello sparire. L’ enormità delle montagne potrebbe essere ben meno del nulla. Al loro interno potrebbero essere vuote. Potrebbero rappresentare il nulla Zen. “… Al dì là della montagna si arriva ancora al mare, a una piccola insenatura dove un tempo esisteva un porticciolo. Oltre, scogliere alte a picco sull’insenatura che nascondono altri mondi. La città fu costretta dal paesaggio ad una deviazione e come un fiume ha seguito il suo corso perdendo il centro, il cuore. Ci si sentiva lontani dalla città. Loro che ne erano il cuore. E non c’era paradosso. Molte città si sono estese e allontanandosi hanno perso strade e cuore. E interi paesi…” Riassumendo la scrittura, e le intenzioni narrative, di Emilia Santoro avrei voluto parlarvi subito di Gabriel Garcia Marquez e di Giovannino Guareschi se non lo avesse già fatto, con una prefazione intelligente e centrata, il buon Nando Vitali. La verità del testo la si intuisce attraverso la poesia e non solo attraverso il fatto. Soprattutto quando, come nell’esempio di “La Sparizione”, il fatto diventa poesia. Il fatto è poesia. L’idea c’è, Kafkianamente elaborata, descritta in modo lieve ma autentico. L’idea non trasmuta in corso d’opera ma si arricchisce via, via mescolando cuore e ragione. Arriva nel profondo e quando arriva capisci che la scrittura di Emilia Santoro è onesta oltre che colta. Vera oltre che elegante. Da farmi venire in mente gente come Ezio Comparoni, alias Silvio D’Arzo, che sapeva sempre offrire un narrato così semplice e così ben strutturato.
È stato un piacere per me leggere questo piccolo libro.
È stato un piacere leggerlo e poterne parlare.