Il libro dell’inquietudine di Biagio Miraglia

Il libro dell’inquietudine di Biagio Miraglia

copertina
anno
2009
Argomento
Collana
Categoria
pagine
216
isbn
978-88-6266-191-1
17,10 €
Titolo
Il libro dell’inquietudine di Biagio Miraglia
Prezzo
18,00 €
ISBN
978-88-6266-191-1
Il tema del doppio, della fuga, del passato e del presente che si intrecciano sono gli ingredienti di questo romanzo che può essere letto anche come un giallo ma soprattutto come la ricerca della propria identità e del senso della vita.
Massimo Dicecca, nato nel 1967, napoletano, è ingegnere.
Vive a Foggia dove scrive, legge, ed è direttore di un’azienda di trasporto pubblico.


INCIPIT


Ho abitato in via Biagio Miraglia per ventidue anni della mia giovinezza.
Ho fatto il conto che sono ottomila giorni e ottomila notti; ed il mettere in conto anche le notti non è un fatto solo astronomico, ma anche esistenziale, dato che la mia insonnia cronica, se non si estende, quasi mai, a tutta la notte, si estende, sempre, a tutte le notti.
Ottomila giorni. E mille vite. Le mille vite di ogni vita: quelle del bambino solo e triste che sono stato; quelle dell’adolescente confuso e timoroso; quelle del ragazzo inquieto che sono stato.
E durante tutto questo tempo non ho mai saputo chi fosse, Biagio Miraglia. Non che non me lo sia mai chiesto, solo che non ho mai fatto niente per saperlo. Forse, mi sono sempre contentato di immaginarmi di sapere chi fosse, bastandomi il fatto che la via, che corre parallela al muro di un cimitero inglese, fosse contigua a strade intitolate a Benedetto Cairoli e Carlo Pisacane, di modo che mi era facile supporre che il tale fosse coinvolto nel risorgimento.
Tra di noi ragazzi del quartiere, dieci dodici anni, ci dicevamo tu sei di Biagio Miraglia, tu vieni da Carlo III, intendendo il nome per il luogo. Altri, più fortunati, potevano vantare residenze (e quindi origini) più esotiche: lui è di Costantinopoli, tu vieni da Toledo (intendendo via S. Maria di Costantinopoli e via Toledo).
Solo tanti anni dopo aver lasciato la via mi sono chiesto senza pigrizia (o senza la fiducia infantile nell’evocazione magica delle parole che da adolescente mi era stata sufficiente) chi fosse Biagio Miraglia, e ho scoperto che il mio amico Vittorio, l’unico tra di noi ad aver seguito studi umanistici dopo il liceo, diventato professore di storia all’università, ha scritto un libro sulla vita dello sconosciuto titolatario della via.
Vittorio, prima di pubblicarlo, ha voluto farmelo leggere, credo più in ricordo della nostra giovinezza, spesa in infinite passeggiate diurne e notturne nel quartiere che ospita quella via, che non perché pensi che possa dargli qualche suggerimento.
 Tutti noi amici del liceo Garibaldi di piazza Carlo III, poco coraggiosamente, abbiamo, all’università, studiato ingegneria, economia o giurisprudenza, affidandoci alla solidità di saperi immediatamente utili piuttosto che rischiare la disoccupazione seguendo studi più vicini alle nostre inclinazioni giovanili.
Solo Vittorio, il più pragmatico, il più diretto di noi, paradossalmente, o forse proprio per questo, ha fatto nella sua età matura quello che da giovane sognava, che tutti noi sognavamo. Per questo, gode tra di noi la maggiore stima, di colui il quale non si è piegato al conformismo e alla necessità materiale, e li ha sconfitti, emancipandosi dal frequentare tribunali, aziende o cantieri.
Lui fa nella vita quello che noi facciamo nel tempo libero, legge, studia e scrive.
Ed eccolo qui, il libro, cento pagine scritte al computer e rilegate con un filo di canapa.
Vita di Biagio Miraglia (1823-1885)
Nato a Strongoli il 15 gennaio 1823 dall’unione naturale di Francesco Saverio Miraglia, cosentino, benestante e scapolo, a Strongoli trasferitosi al seguito della primogenitura, (e qui sindaco nel 1821 e poi dal 1834 al 1840), e di Anna Loria di S. Giovanni in Fiore, avendo ricevuta la prima educazione nel seminario di Cariati, per il completamento degli studi classici, mercé l’interessamento del Vescovo diocesano, buon amico del padre, Biagio Miraglia è inviato nel collegio italo-greco di S. Demetrio Corone, attiva cellula antiborbonica, fondato e diretto da illuminati pensatori e prelati. «Chierico di Strongoli di anni 14» con testimoniale del vescovo Serao di Cariati, il 14-4-1837 è dispensato dal difetto di natali per accedere agli ordini, «non essendo nato da sacrilego concubinato», legittimato come fu con decreto sovrano del 26-4-1831; inviato a Napoli per studiare teologia, a 22 anni, il 12-9-1844, lo ritroviamo dottore in S. Teologia e provvisto del canonicato della collegiata strongolese.
Un mezzo prete calabrese dell’Ottocento, figlio illegittimo legittimato.
Biagio Miraglia, intesa come via, perpendicolare al corso Garibaldi, è quasi un vicolo, ma luminoso, in quanto da un lato costeggia un cimitero abbandonato, da cui la separa un muro diroccato alto non più di tre metri, e quindi non racchiusa, come tutte le vie del centro storico di Napoli, da due facciate di palazzi vecchi o antichi.
Strada quasi solitaria, anche se centrale, perché l’unico lato edificato, in quanto i palazzi furono costruiti dopo il cimitero, non ha portoni, in ossequio alla tanatofobia urbanistica dominante.
I palazzinari ottocenteschi, nello spingersi a costruire fino al limite di un’area malsana e paludosa, poi resa ancor di più tale dalle strategie militari di tal generale Lautrec, che la allagò per sconfiggere i suoi nemici che là resistevano, i palazzinari si arrestarono solo davanti ad un fiume torrentizio, noto, forse non senza motivo, come Arenaccia, e davanti ad un cimitero, e più non poterono, neanche loro.
La mia famiglia abitava in un palazzo “nuovo”, cioè degli anni Sessanta del Novecento, costruito dal lato cimiteriale della strada, forse addirittura su un pezzo di terreno strappato al cimitero, confinante con quello che un tempo era il letto del fiume Arenaccia, al di qua dell’ultimo limite del quartiere S. Lorenzo ma affacciato sulle prime avanguardie del quartiere Vasto, il cui nome, contrariamente a quello che sembra, deriva da “guasto”, e non da “vasto”, in ricordo della malaria. Così è.
Dopo anni ho saputo di aver vissuto sopra la tomba, o meglio, sopra la sepoltura, del pittore Anton Sminck Pitloo, paesaggista olandese autore di famose vedute del golfo di Napoli, conservate nei musei di tutto il mondo e studiato nei libri di storia dell’arte, ma il cui corpo fu gettato in una fossa comune all’Arenaccia dopo una delle tante epidemie di colera. Questo, i libri che lo celebrano e la gloria delle opere esposte non lo dicono, non dicono niente della morte solitaria, dell’oltraggio del modo della sepoltura, della malattia, della miseria e del dolore che l’uomo sofferse. Così è.
Questa cosa di vivere a fianco, e forse sopra ad un cimitero, a pensarla ora mi sorprende, come se fosse una novità, ed in un certo senso lo è, in quanto allora, a quel tempo (oddio, a quarant’anni dico “a quel tempo”!) credo di non averlo mai pensato, percepito; non che lo rimuovessi, è che era normale, come normale (e quindi invisibile, trasparente) diventa ogni cosa che duri nel tempo, che modella i corpi e i pensieri, levigandoli secondo la sua superficie e la sua forma. È normale, se così è, avere fame, è normale, se così è, avere paura, e questo conforma col tempo gli spiriti, plasma le anime, detta le parole.
Chissà che relazione esiste tra via Biagio Miraglia e Biagio Miraglia, dovrò appurarlo; spero che il legame non sia, come accade di solito, unicamente un’enciclopedia consultata a caso da un impiegato dell’ufficio toponomastica del comune, in genere un geometra, categoria calunniata dai poeti.
La vita è così, comincia a caso, a caso finisce. Le parole e le cose non sempre sono legate, e spesso, legate, si slegano, quando non si legano con altre, slegatesi da altre ancora. Ed il senso, del prima, del dopo, del perché, si perde, si dimentica, si scolora, si traveste, si trasfigura. E poi moriamo. Così è.