Per più amore

Per più amore

copertina
anno
2009
Collana
Categoria
pagine
40
isbn
978-88-6266-154-6
Lei era Momò, Moni, Coniglietta, Cocco, Tata.
La chiamavamo con i nomi dolci che ci venivano in mente.
Lui la chiamava Nausicaa perché era un poeta.
 
 
C’è un istante in cui l’amore può oscurare la mente fino al vuoto delle emozioni.
Un amore – forse – eccessivo per lo spazio circoscritto della ragione.
 
È ciò che accade nella storia allucinante di Monica e Roberto, il suo compagno e fidanzato “gentile”, o nella tragicomica parabola di Davide e Giorgia, la principessina che non voleva saperne di studiare.
Alla fine rimangono dolore e morte, e una vertigine che impedisce agli altri di capire come e perché.
Rimane anche l’amore?
Nessuno può escluderlo.
 

Progetto grafico di Roberto Gorla e Michela Barbiero

 
INCIPIT

Moua non tornerà

Roberto era dolce, dolcissimo, tenero, avevamo lo stesso filo di ragionamento e passavamo il tempo a ridere. Era il bambolotto della classe. Venti ragazze e un ragazzo, il nostro bambolotto. È stato lui a lasciare Monica, ma lo vedevo chiuso, introverso. Un giorno era solo sul banco e gli ho chiesto: «Robi hai voglia di parlare? Perché l’hai lasciata?» È rimasto zitto e ha abbassato gli occhi. Avevamo tutt’e due le lacrime agli occhi. Ho cercato di consolarlo: «so che ami ancora Monica, perché l’hai fatto?, alza lo sguardo e dimmi cosa provi per lei.» E lui: «la amo ancora.» E io: «allora perché la fai soffrire e soffri? Voi vi compensate», gli dicevo. Io li portavo dentro di me come un esempio. Bastava guardarli. Lui stava ore a fissarla, lei si girava e rideva, si passavano i bigliettini, lavoravano con bianchetti e evidenziatori. La loro dolcezza era l’amore. Lui mi diceva che ero un’amica speciale. «Non posso perderti», mi scriveva, «stammi vicina». 

 

Il giorno prima, domenica, era andato a vedere Hannibal. Mi ha detto ridendo: «mi è venuta fame.» A lui piacevano quelle cose lì. Stephen King, poi, lo adorava, come adorava Dante, sapeva i versi a memoria, scriveva bene, anche lui era un poeta, gentile, nobile, pieno di sentimento. Era un poeta, aveva tanti sogni, voleva fare il criminologo, entrare in polizia come suo padre e suo fratello. Certo, aveva pure strane idee in testa, tipo la fissa dell’Anticristo. Era fissato con ’sto deficiente di Marilyn Manson, gli piaceva da morire e ci ha scritto pure un tema. Sapeva tutto, aveva un libricino con le canzoni, poi ci aggiungeva frasi sue stupende, molto profonde davvero, da poeta. Era contro sua madre, l’ha sempre vista troppo cattolica, e siccome era slava la chiamava “mamma zingara”: quando si parlava di olocausto lui reagiva male, come se reagisse contro sua madre che aveva recitato in Kapò e ne soffriva. Ogni volta che guardavamo qualcosa sull’olocausto, una mostra o un film, noi eravamo tutte con i fazzoletti al naso e i lacrimoni, e Roberto ci rideva su. Per lui erano cose banali, faceva il duro, ma riusciva a parlare poetico, erano belle le frasi che sapeva dire.

Era fatto così. Qui, sul mio diario, lo vede?, c’è una sua dedica firmata Anticristo. Era un tipo ironico, un bravo ragazzo, bravo a scuola e nella vita. Non voglio difenderlo, è logico che deve pagare per quello che ha fatto, deve rendersi conto. Comunque è un tipo forte, non ha paura del carcere. Non veniva mai a scuola senza gel, aveva un bel fisichino, sempre con i jeans e la camicia bianca, sempre con il colletto sollevato, mangiava come un toro eppure era un Big Jim, perfetto. Quel coltellino ce lo passavamo per limarci le unghie, non tagliava niente, neanche come tagliacarte. Lui lo usava per sbucciare le mele durante la pausa. Era un ragazzo perfetto, un ragazzo d’oro, da sposare, con tanti sogni nel cassetto.