In queste poesie l’autore conduce la parola verso quello che temiamo di più: chiamare le cose col nome delle cose. Fabbri è un minimalista metafisico che cerca con la parola una chiave d’accesso all’opera dei giorni e al potere che il quotidiano esercita sulla realtà.
Nicola Vacca
Gianfranco Fabbri, senese di nascita e forlivese di adozione, ha esordito in poesia nel 1980 e in narrativa nel 1995.
È redattore di riviste, segretario di un premio nazionale di poesia, gestore di un blog di scrittura poetica giovanile.
Primi versi
Si riparte secondo una logica diversa;
forse un cammino
su vie di altri mondi, come se la coscienza
potesse nominarsi senza te.
L’alba, stamani, è sostanziale
al giorno che l’alberga.
La tua fotografia si estende
nelle pareti, ingigantisce
l’odore oltre la porta,
giù per le scale,
fino a mischiarsi insieme al mondo.
Nel giorno della luna,
la settimana inizia il suo rosario
da avamposti noti alle spie.
Chiedono di te,
i medio magrebini,
snelli acuti
nel loro asciutto fare come i gatti.
Nebbia nei campi a dilatare
l’onnipresente; ad est, un golfo
che non si getta sul destino,
ma che resiste all’uomo,
per averne timore.
Nebbia sotto i ponti della città:
denso corallo,
il frantumarsi del freddo
si levita incantato.
Non ci saranno indulti,
né colpi in fatiscenza.
Si vive piano, nella fessura
della scomposizione a cielo aperto.