Gente strana

Gente strana

copertina
anno
2010
Collana
Categoria
pagine
152
isbn
978-88-6266-245-1
14,25 €
Titolo
Gente strana
Prezzo
15,00 €
ISBN
978-88-6266-245-1
Quattordici racconti-percorsi esplorano l’immaginario e l’anima profonda dell’Argentina.
Un labirinto di geografie fisiche ed emotive avvolge il dolore della memoria, gli inferni della colpa, i sogni frustrati, l’invidia, l’erotismo.
Con la sensibilità di un sismografo e l’eleganza di un narratore di razza, Giardinelli registra le inquietudini della società in un gioco di equilibri tra odi, speranze, delusioni in un mondo magico che è insieme reale.
Mempo Giardinelli è nato nel 1947 a Resistencia, capitale della provincia del Chaco, nel nord dell’Argentina, e lì vive. Scrittore e giornalista tra i più apprezzati, ha fondato e diretto la rivista letteraria "Puro Cuento" (1986-1992).
Le sue opere sono tradotte in tutto il mondo. In Italia ha pubblicato romanzi e racconti con Guanda e Tea. Tra questi, Finale di romanzo in Patagonia (2001), La rivoluzione in bicicletta (2003) e l’ultimo, nel 2008, Visite fuori orario.

ASSAGGIO DI LETTURA

SCARPE
 

Mamma è furiosa con papà perché a papà non piacciono le scarpe che lei usa e dice che ciò che le ha fatto oggi è qualcosa che non gli perdonerà né da viva né da morta.
Tutti sarebbero d’accordo con papà che ciò che ha fatto è solo una sciocchezza ma tra di loro l’episodio è diventato una questione capitale, definitiva, perché il rancore di mamma è come quello di un indio cacciatore di teste, come dice zia Etelvina quando la vede così, perché dice (zia Etelvina) che mamma, quand’è arrabbiata, non la ferma nessuno e ha un comportamento che non perdona né lascia perdonare.
Mamma ha dei piedi molto belli, graziosi e uguali, senza calli e con le dita che assomigliano alle treccine che bordano le empanadas e su questo sono tutti d’accordo. «Proprio per questo» dice papà «è un crimine portare delle scarpe tanto brutte.»
«Non so cosa ti passa per la mente di metterti quelle scarpacce orribili, grandi, chiuse e che, oltretutto, fanno rumore», dice papà.
«E, come se non bastasse, inspiegabilmente, producono uno scricchiolio orribile quando cammini, ma non lo si può nemmeno accennare perché non accetti mai una critica.»
«Quel che succede è che le tue critiche non sono mai costruttive», dice mamma.
«È perché tu diventi una belva», dice papà. E alla fine mamma gli urla che in ogni caso «è un difetto di nascita ed è meglio che lasci stare i miei difetti, sono stufa che mi critichi, stufa che mi giudichi e stufa di questa vita che facciamo perché io merito qualcosa di diverso» (che è ciò che mamma dice sempre). E, siccome non c’è verso di fermarla, papà se ne sta zitto e lei continua, dicendo tutto ciò di cui è capace che è moltissimo e feroce.
In nessun caso si può chiedere discrezione a mamma. E non è neanche che abbia un gran senso dello humor. Quando erano più giovani lui le suggeriva di usare delle pantofole, «tanto» scherzava «io ti amerei lo stesso.»
Però lei, con pieno diritto, si comprava le scarpe che le piacevano e usava quelle che voleva sempre protestando, «non so perché gli uomini hanno questa mania di voler decidere come devono vestirsi le donne.»
Screanzata com’è, con uno sguardo veemente e che fulmina, non le si può nemmeno parlare per scherzo di ciò che non le piace. Questo già lo sappiamo. Perciò quello che fece papà quel sabato pomeriggio, sebbene sembri una sciocchezza, era troppo: non c’era nessuno della famiglia in casa e lui ne approfittò per radunare tutte le scarpe della mamma, qualcosa come dieci o dodici paia, vecchie e nuove, infilarle in una borsa, chiamare Juanita, la ragazza che ci aiuta nei lavori di casa, e dirle «le prenda Juanita, la signora mi ha ordinato di regalargliele.»
E le consegnò la borsa con tutte le scarpe che Juanita, quella rimbecillita, portò con sé a casa.
Ovviamente, come ci si poteva aspettare, mamma se ne accorse la notte stessa, non appena arrivò si tolse gli stivali che indossava e cercò i sandali di casa. Scoprì che il guardaroba era vuoto e fu un grido solo dalla camera da letto: «Tito mio che cos’hai fatto con le mie scarpe!» e uscì per provocarlo.
Papà si divertiva come un matto e le disse la verità: «Le ho regalate tutte a Juanita.»
Ciò scatenò in mamma il più violento dei suoi diluvi logorroici: gli diede del bruto e del ficcanaso, del comunista e del nazista antisemita, dell’energumeno e del discriminatore e andò a raccontare a tutti quanti, a cominciare dalla nonna e dalla zia Etelvina, che quell’uomo quando era annoiato era un pericolo, perché non si faceva solo gli affari suoi e che allora si sarebbe accorto quanto gli sarebbe costato il conto del calzolaio.
Due sono le cose che mi fanno impazzire di quei due: l’incapacità di mamma di accettare i commenti degli altri e la mania di voler cambiare la gente di papà.
Ma con loro è inutile. Zia Etelvina dice che la gente fatta a quel modo è meglio lasciarla perdere. E io credo che abbia ragione. Ma quando sono i tuoi genitori non è possibile.